Da Economia Fondiaria no. 6/2015

Il cavallo non beve malgrado una finanza accomodante. Il consumo non decolla ed il credito confluisce a singhiozzi nel mondo produttivo, l’unico che assicura alla lunga la crescita per permettere - a parte il benessere e ciance varie - il rientro del debito che come sappiamo oggi abbastanza consistente. Per gli esperti, anche sulla base di precisi rilievi, si è preferito privilegiare negli anni il credito improduttivo indirizzandolo sull’economia fondiaria piuttosto che sui processi produttivi. Per i buongustai più sulla proprietà che sull’innovazione, termine per altro oggi di moda; per la semplicità, la concessione del credito ha privilegiato più il mattone che la produttività. Per taluni questo indirizzo si è rafforzato anche per la comodità della plusvalenza immobiliare, per altri per la ritrosia nel confrontarsi con processi aziendali innovativi.
In tutti i casi sul banco degli accusati non può però essere trascinata l’economia fondiaria; del resto basta vedere la quota lavoro che garantisce e l’apporto formidabile che assicura alle finanze cantonali.
In realtà chi dovrebbe vedersela sono gli imprenditori ed i banchieri.
I primi a presentare convincenti processi produttivi ed i secondi ad assecondarli con la dovuta prudenza, visto che almeno sulla carta sono i più rischiosi.
Ma perché, essendo convinti assertori dell’economia fondiaria, ci permettiamo questa sottolineatura?
In primo luogo perché la crescita la crea l’imprenditoria, l’unica che si confronta con una concorrenza stimolante ma impietosa.
In secondo luogo, perché la tenuta o la crescita dei valori dipende alla lunga dalla forza contrattuale del paese. La forza paese, pur scontando fenomeni collaterali, è il loro stantuffo.
In terzo luogo perché un indirizzo unilaterale del credito può essere rischioso. Per farci capire, rimanere seduti sulla sostanza illudendosi è un pericolo aggiuntivo ad un processo di cambiamento che richiederà maggiore flessibilità del lavoro e determinazione nella localizzazione.
Le nostre autorità finanziarie hanno finora giustificato l’inasprimento per la concessione delle ipoteche ponendo maggior peso sul pericolo della bolla immobiliare che sulla necessità di riportare nel giusto rapporto il credito alle aziende e il credito all’economia fondiaria.
Ora però questo obiettivo, cioè indirizzare maggiormente il credito alle aziende, diventa sempre più evidente al punto che ci si deve aspettare un ulteriore inasprimento da parte delle autorità finanziarie delle norme per la concessione dei mutui ipotecari e del credito in generale.
Le stesse possono venire così riassunte: maggiore dottrina e maggiore copertura dei rischi con mezzi propri, copertura sempre più difficile con un mondo bancario un po’ palliduccio e con rischi imprenditoriali a tutto tondo! Senza dimenticare che il capitale in gestione si sta erodendo per la pressione internazionale.
Tutto quanto per dire che il credito, malgrado che il suo costo a breve rimarrà ancora contenuto, verrà sottoposto ad una più attenta verifica e che i tempi di concessione verranno accorciati per permettere di fronteggiare - anche perché il marginale del credito (costo di raccolta e concessione) è piuttosto deludente - i tempi più burrascosi dopo la calma piatta degli ultimi anni.
Per farla breve: è consigliabile allungare i termini di scadenza.
Meglio dormire tranquilli che piombare nel mare agitato.

Alla luce dei rilevamenti e dei pareri espressi dagli istituti bancari di riferimento l’andamento del mercato viene confermato. Non solo rallentamento ma anche parziale correzione. A livello nazionale si registra un calo dei fatturati nell’edilizia con conseguente andamento occupazionale negativo, il tasso di sfitto è il più alto dal 2001, gli affitti per la nuova locazione sono stabili, il mercato del lusso si è contratto e l’offerta ha parecchia merce nel magazzino per l’allungo dei tempi di vendita e per la resistenza di una domanda più selettiva.
Gli ingredienti con l’impasto di una fiducia meno briosa ci sono e rafforzano quindi un certo scetticismo.
A dirla tutta sta tracimando la sfiducia nel mondo del lavoro e non per nulla che il lavoro è diventato il centro delle apprensioni degli svizzeri!
Il solito pessimismo? Può anche darsi ma converrete che da troppo tempo ci siamo abituati alla bonaccia rifiutando di credere che prima o poi il cielo si annuvolerà.
In tutti i casi un invito ulteriore a consolidare l’esistente (allungo ipoteche) ed un invito a calibrare la nuova produzione senza forzare la valigia dei sogni per l’effetto ALPTRANSIT, con lo tsunami della seconda residenza e con lo sbocciare di centri di competenza.
Di sicuro l’ALPTRANSIT raccorcerà comunque i tempi di percorrenza all’interno del nostro territorio e già per questa circostanza, sconfinando nel clima natalizio che ci attende, é “cosa bella e buona”.
Per il resto sarà il trasporto internazionale che detterà l’utilizzo principale ed il conseguente disturbo.
Basti pensare ai convogli merci da centinaia e centinaia di metri che passeranno per il Gambarogno e per il Sottoceneri!
Come si sul dire: calma e gesso.

Il Consiglio Federale ha recentemente proposto di rendere obbligatorio il formulario con il quale si rende noto al nuovo inquilino l’ultimo affitto praticato e l’eventuale nuovo aumento dettato dal mercato con tanto di motivazione. Ovviamente solo in sede di stipula del contratto di locazione, con l’invito di eventualmente farci una pensata magari assistita a pagamento.
Il motivo principale invocato è la trasparenza del mercato da tempo subentrato a quello della penuria delle abitazioni da sempre presente nelle zone appetite, per intenderci quelle centrali con il lavoro e le comodità fuori della porta.
Non bisogna essere particolarmente dotati per capire che la trasparenza di mercato è una grossa bufala. Si tratta solo di un rapporto fra proprietario ed utente e non concerne perciò il mercato.
Se fosse prevalente la trasparenza del mercato bisognerebbe significarlo a tutti i potenziali interessati, se non addirittura raggrupparli in banche dati private e pubbliche accessibili agli interessati.
Fosse il caso si conoscerebbe il costo medio dell’utilizzo (meglio detto “riutilizzo”), con una trasparenza aggiuntiva da affiancare ai vari portali che riportano a migliaia le condizioni dell’offerta.
Scartata la trasparenza di mercato, l’intendimento vero è quello di gettare le basi per un’eventuale contestazione scritta del contratto sottoscritto invocando “redditi sproporzionati” o quant’ altro.
Insomma l’investimento immobiliare, che sappiamo non eterno, verrebbe considerato come una sorta di cooperativa dove si applica un canone che copra i costi (in pratica un condominio sociale) con una redditività che viene addirittura fissata dall’ufficio federale dell’alloggio e non dalla Banca Nazionale come si sostiene.
Ci sono quindi tutti gli ingredienti per innervosire il mercato anche per gli investitori istituzionali previdenziali, si pensi solo alle casse pensioni, che hanno decine di miliardi investiti (oltre il 20% del patrimonio) e che si appoggiano agli incassi mensili per supportare le spese amministrative e per lucidare la scarsa redditività dell’intero patrimonio affidato dai risparmiatori e pensionati (effettivi e futuri).
Del resto gli istituzionali non sono scesi con gli affitti.
Quale miglior prova del vero reddito adeguato e del prudente apprezzamento del mercato.
Per loro è infatti più importante lasciar perdere il “zero virgola” e puntare all’occupazione consolidata per difendere il risparmio affidato e le aspettative previdenziali dei singoli associati.
Ora è inutile anticipare il dibattito ed il sicuro referendum (da ambedue le parti a seconda delle decisioni del parlamento) ma ci sembra opportuno evidenziare la prevedibile reazione dell’economia comportamentale sul lungo termine.
Intanto vi è d’attendersi una diminuzione della propensione all’investimento a reddito nell’esistente e nel nuovo (vedi formulario anche in occasione del primo affitto effettivo), un rafforzato indirizzo alla proprietà condominiale magari anche con la conversione dell’esistente, il proliferare di trattative “sporche” d’ambo le parti, la pressione a tamponare il manco d’offerta con soldi della comunità il tutto accompagnato da un impegno burocratico da far paura con fughe di notizie collaterali.
Sembrano atteggiamenti marginali ma è sempre bene ricordare il detto “ogni formiga la pizziga”!
Non fasciamoci però la testa prima del tempo.
Il messaggio del Consiglio Federale esiste e quanto prima si entrerà nell’iter politico vero e proprio.
Attendiamolo poi vedremo il da farsi!

A proposito di iter politico è pure iniziato quello sulla “protezione della sfera privata” dopo che il Consiglio Federale ha promosso il messaggio all’intenzione delle Camere Federali con la raccomandazione di respingere l’iniziativa popolare “Sì alla protezione della sfera privata” senza presentare un controprogetto. Ricordiamo i contenuti principali dell’iniziativa. Ognuno ha diritto alla protezione della sfera privata, al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua abitazione, della sua corrispondenza epistolare e delle sue relazioni via posta e telecomunicazioni, nonché della sfera finanziaria privata. Inoltre ognuno ha diritto d’essere protetto da un impiego abusivo dei suoi dati personali.
L’accesso ai dati in relazione alle imposte dirette mediante imposizione è concesso solo nell’ambito di un procedimento penale ed esclusivamente se sussiste un fondato sospetto.
Il Consiglio Federale argomenta il suo invito a non accettare l’iniziativa ricordando che diverse sono le leggi che nel complesso difendono la sfera privata e che la verifica fiscale ne uscirebbe condizionata. Si dimentica però di far presente che sarebbe la verifica futura che ne uscirebbe condizionata dopo l’abolizione del segreto bancario da tempo preventivata. Sempre poi che il popolo lo vorrà!
In poche parole l’interesse da parte delle autorità è prevalentemente indirizzato all’accesso della documentazione finanziaria magari già in fase di accertamento.
Per quanto riguarda il nocciolo duro della sfera privata si afferma che le difese sono più che sufficienti e l’allarme, malgrado il continuo sforamento, è infondato.
Insomma una maldestra strumentalizzazione.
Come ricorderete il Vostro Consiglio Direttivo raccomandò di sostenere la raccolta firme inviandovi l’apposito talloncino e se ben ricordiamo per ben due volte.
L’esito fu lusinghiero!
Perché ci siamo mossi? Per la verità già per i contenuti stessi ma anche per il convincente e competente parterre che l’aveva lanciata.
Non i classici amici al bar o canotti partitici alla deriva.
Ora attendiamo serenamente il dibattito politico e la successiva votazione popolare che per fortuna avverranno senza il fastidioso ronzio delle votazioni federali.

Recentemente abbiamo potuto esprimerci nell’ambito di una giornata sul tema della densificazione ed il suo influsso sul mercato. Quindi si dà già per scontata la densificazione ed il suo probabile effetto perverso ovviamente da correggere. Tanto per capirci il solito impasto dal quale fa capolino il termine “la speculazione”.
Il clima è ancora quello degli anni settanta; bisogna assolutamente blindare il territorio e tamponare l’assalto degli operatori selvaggi.
Ed allora tentiamo di fare un po’ d’ordine.
Intanto bisogna chiedersi dove si vuol densificare; l’intero territorio edificabile, solo la zona urbana oppure anche quella periurbana, solo isolati o sobborghi interi, mirato o un po’ per tutti comprese le zone residenziali di periferia ad uso proprio?
Poi “quanto”? Maggiorare gli indici di sfruttamento di tot per cento o di qualche punto, oppure scheggiare con i piani in elevazione tenendo comunque presente la legge federale che limita la riserva edificatoria al fabbisogno plausibile dei prossimi 15 anni. A tal proposito basta sentire qualche specialista che sostiene che ne abbiamo già a iosa non da ultimo perché Berna impone anche di conteggiare il non edificato completamente (vedi per esempio zone a casette nell’urbano con edificabilità già permessa di 5 piani).
Alla fine della giornata convergenza di fatto sui grandi terreni liberi o ad isolati ancora idonei ad una rivalutazione con speciale riferimento alle aree attorno alle stazioni ed ai terreni di proprietà pubblica o di aziende decotte.
Non una grande “navidaz” a parte la conferma degli strumenti! Piani di quartiere e zone di pianificazione.
I classici strumenti scaldiglia che fanno perdere lo slancio sciupando il segnale.
Blocca che ci facciamo una pensata di qualche anno!
Abbiamo tentato di ricondurre il discorso alle nostre dimensioni che non sono quelle di Zurigo o Basilea, dimensioni che oggi orientano di fatto la discussione ticinese.
Da ultimo il quadro di riferimento. Per una generazione non verranno ampliate le zone edificabili, salvo qualche improbabilissima compensazione o per qualche nuova rara azienda agricola. Per contro le zone edificabili in esubero, in genere dove la domanda è latitante, verranno rasate a favore delle zone che non hanno comprovate riserve.
Il tempo scorre e Berna attende!
Quindi, terminati i rilevamenti, bisognerà iniziare il discorso politico se vogliamo passare l’esame a Berna.
Alla stessa dovremo infatti presentare un dossier completo e credibile di cosa vogliamo fare da grandi!
Aggiornare quindi il “Leitbild” ed il “Richtplan” (Piano degli Indirizzi e Piano Direttore) accompagnando il tutto con dati e programmi significativi.
Cannare il programma di riferimento e le condizioni quadro a sostegno sarebbe un autentico disastro e significherebbe consolidare la tutela nazionale.
Certo che sarebbe anche interessante parlare una volta anche dei “dezonamenti” che in definitiva significano un pesante ridimensionamento delle aspettative.
Ma è meglio non fare rizzare il pelo, come si suol dire.
Ma forse il tema potrebbe già interessare qualche sindaco o qualche ente regionale.
Di certo il politico (esecutivo e legislativo) non potrà restare nello spogliatoio e non richiamare il suo ruolo guida del paese.

Potevamo scommetterci e del resto l’avevamo più volte sottolineato. Sull’edificato a pigione moderata di proprietà pubblica esistente, dopo il caso di Berna si sarebbero accesi i riflettori. Infatti a Zurigo si è passato al setaccio gli utilizzatori di questi appartamenti che una volta si trovavamo in periferia ed oggi nel semicentro ben servito. Si è scoperto che una parte non solo è sottoutilizzata, malgrado i regolamenti esistenti, ma che anche qualche milionario figura come consolidato inquilino. Non sono tanti, stiamo parlando del 2%, sufficiente però a rilanciare il tema che è approdato sul tavolo della Commissione della gestione anche grazie ad un atto parlamentare.
Il discorso è molto semplice: aggiungere al criterio dell’utilizzazione (tot vani per persona) anche la forza contrattuale (reddito e sostanza).
Che ovviamente va definito con i conseguenti mal di pancia.
Il dibattito è lanciato. Da una parte i moderati compatti e dall’altra i progressisti che postulano la non introduzione di limiti finanziari.
Ci sembra un po’ strano ma bisognerebbe conoscere gli argomenti di una tale resistenza.
Sono di natura tecnica o di natura politica gestionale?
O semplicemente di fastidiosa ingerenza tout-court?
Ad ogni buon conto, visto che i cittadini di Zurigo, malgrado le cifre rosse della loro città, si erano imposti di raggiungere in tot anni la quota del 30% di appartamenti a pigione moderata, è chiaro che l’esistente inserito nel conteggio verrà setacciato senza tanti fronzoli.
Il fatto di non potere più occupare gli spazi rappresenta pure un problema di natura politica ed anche umana.
Gli inquilini dovranno uscire malgrado la disponibilità a pagare ora l’affitto di mercato?
Due sono perciò le questioni aperte anche se imparentate.
Fissare i limiti e che comportamento tenere con chi sfora perché ha un maggior reddito dal lavoro o ha accumulato del risparmio.
O ha semplicemente perso un congiunto.
Con i furbetti semplice foglio di via!
Per la cronaca cosa propone la commissione?
Che il reddito imponibile non superi il quadruplo dell’affitto lordo.
E qualora la sostanza superasse i Fr. 200'000.- un aggiuntivo del 10% al reddito.
Senza dimenticare le norme che stabiliscono l’occupazione permessa ( vani per cranio)
Mica male come soglia di sbarramento.
Ora forse incominciamo a capire meglio la resistenza di taluni!
A proposito si potrebbe applicare questa soglia anche per la dotazione ticinese.
Ora la palla passa al Consiglio Comunale di Zurigo.

Il Presidente Cantonale
Lic. rer. pol. Gianluigi Piazzini