Da Economia Fondiaria no. 1/2021


Già anni fa sostenevamo che il patto sociale fra generazioni andava aggiornato alle mutate situazioni del mondo economico e del lavoro come pure in funzione delle aspettative di buona parte degli attori. Avevamo anche sostenuto che il “previdenziale”, il nostro invidiato da tutto il mondo, è una formidabile scuola d’apprendimento di nozioni economiche. Intanto perché vi sono resoconti ed istanze di controllo sulla gestione del patrimonio corredate dalle proiezioni sulla durata di vita e dalla forza contrattuale dei soggetti ancora attivi.
Per le casse pensioni il discorso è più complesso visto che nelle stesse sono inserite maggiormente le aziende. A questo punto qualche maestro di pensiero o qualche anima bella deputata a condurre le pecorelle potrebbe sostenere che noi illuminiamo troppo l’aspetto economico e troppo poco l’aspetto sociale. Un rimprovero che accettiamo volentieri visto che sul WEB troviamo tutto a riprova che senza il rendimento e l’alimentazione del patrimonio il sistema va in affanno. Insomma si deve assolutamente piazzare il patrimonio affidato e soprattutto farlo rendere. Ciò vale per l’AVS, per la LPP e per il terzo pilastro, il risparmio integrativo agevolato dal profilo fiscale. In poche parole il capitale (risparmio collettivo) va preservato assicurando redditi e plusvalenze e dev’essere piazzato con giudizio e prudenza. Dove? In titoli azionari, obbligazionari e nel mattone. E ci risiamo: nella carta e nel mattone. Utile anche sottolineare che gli attori in campo come casse pensioni, istituti bancari con i loro prodotti, i fondi immobiliari, le società quotate e senza dimenticare le assicurazioni, sono i veri padroni del vapore. Al “previdenziale” appartiene infatti virtualmente la metà del paese facendolo però partecipare alle plusvalenze ed ai valori aggiunti del finanziario.
Restando sul tema il messaggio del Consiglio Federale sulla Riforma 21 della LPP inizia testualmente con le seguenti frasi introduttive. “La previdenza professionale (secondo pilastro) deve far fronte a una duplice sfida: l’aumento della speranza di vita e i redimenti insufficienti degli investimenti. I progetti proposti nel 2010 e nel 2017 a fine di ridurre l’aliquota minima di conversione nella previdenza professionale sono stati respinti, ma questa misura resta necessaria. Con il presente progetto si intende garantire il finanziamento della previdenza professionale e al contempo mantenere il livello delle prestazioni in generale e migliorarlo per le persone con redditi modesti e i lavoratori a tempo parziale”. Da questo lancio possiamo già intravvedere il prevedibile fuoco incrociato sulle novità proposte, rese comunque più digeribili con misure compensative. È infatti noto come il progressista quando si confronta con aggiornamenti necessari diventa in genere conservatore per cui qualche aiutino va predisposto. Per coloro che fossero interessati all’argomento basta entrare in Google e inserire nel motore di ricerca: Riforma LPP 21. Troverete tutto quanto serve per un aggiornamento personale che dovrebbe blindarvi dal “presentismo” di giornata ormai orfano del pesce siluro Trump. Da ultimo le soluzioni sono poi solo tre: o si lavora di più, o si alimenta maggiormente (si paga di più nella vita attiva) oppure si rinuncia a qualcosina nell’età pensionistica. Ovviamente si può mixare a piacimento. Obiettivo principale della riforma 2021 è raggiungere, con l’AVS e la cassa pensione, il 60% dell’ultimo stipendio!

A suo tempo ci schierammo contro la pianificazione (urbanistica) dettata dall’alto ma con scarno successo. La votazione federale risultò chiara come pure quella cantonale. Restava solo la curiosità nel verificare con il tempo la consistenza di alcune nostre riserve che allora avevamo enunciate. Riserve riassumibili nel timore della prevalenza del tecnico sul politico, della perdita di autonomia dei Comuni, nei bavagli imposti e gli indirizzi dissociati dalle dinamiche sul territorio. Una filiera di comando a livello federale e cantonale contenute in un paio di classificatori e schede varie a livello di Piano Direttore. Potremmo riprende quanto scritto allora ma lo faremo a tempo dovuto. Ad oggi ci piace per lo meno sottolineare che a suo tempo, in diversi occasioni, si sottolineò che le riserve edificatorie erano sì un po’ abbondanti, ma che non richiedevano particolari correzioni. Anzi si prospettava che con buona probabilità si lasciava il tutto come prima. Già allora questa affermazione poggiava su basi gelatinose, almeno alla luce di determinati conteggi ovviamente fatti in casa. Ora il cambio di marcia! I conteggi che i Comuni devono allestire e le prime verifiche sembrerebbero attestare diverse riserve di edificabilità allora non emerse o forse oscurate. Ciò significa che si stanno affilando i rasoi da utilizzare per tutte le destinazioni compresa ovviamente quella residenziale. Diciamo così: “tu, caro Comune, fai i compiti in classe e dimmi cosa vuoi fare da grande poi ci potremo trovare per una sana discussione ovviamente mettendoti in fila”. Ballano milioni se non miliardi sempre che l’esubero non tracimi. In questo clima già nebuloso vi è già qualche pianificatore, sempre delle medesime scuderie, che suggeriscono la drastica riduzione degli indici di sfruttamento. Magari si potrebbe anche fare ma certamente il discorso del centripeto e della “densificazione” allora sbandierato va a farsi benedire. Ed ora fermiamoci qui per carità di popolo e restiamo sul muretto in curiosa attesa.

Lo sfitto non accenna a diminuire anzi abbiamo l’impressione che stia ancora aumentando. L’utenza è quella che è e la produzione installata è ancora alta trascinata ancora in buona parte dal previdenziale che non sa più dove mettere i soldi. Al residenziale si aggiungono altri spazi vuoti ormai alla mercé del cambiamento tradotto nel maggior lavoro in remoto, nella digitalizzazione imperante che divora sportelli e scrivanie e nella competizione aperta. Un cambiamento da tempo percettibile e che il morbo “mandarino” ha ora centrifugato. La situazione dello sfitto è sotto gli occhi di tutti. Quanto vien libero fa fatica a trovare utenza e per i contratti in essere si aprono spiragli per il rinegozio. In momenti come questi è chiaro che l’unica soluzione è affidarsi all’esperienza e a chi può garantire la necessaria professionalità. Insomma i chirurghi di guerra, quelli che sanno prender decisioni e che hanno la missione di traghettare la sostanza. Ovviamente a simili strutture va assicurata una adeguata remunerazione dei servizi. Per intenderci quello secondo tariffario di riferimento delle associazioni professionali. Sinceramente fa un po’ specie assistere proprio nei momenti più difficili a trattative al ribasso. Intendiamoci è sempre stato un po’ così ma stavolta un simile atteggiamento non si legittima per niente. Questa è una crisi strutturale e non solo congiunturale. Quindi chi da affidamento va premiato e nel caso di insuccesso liquidato senza molti patemi d’animo.
Sempre a proposito del cambiamento in atto, meno uffici e negozi, per i centri urbani e per i nuclei originali si pongono diversi problemi riassumibili nella seguente domanda: come riqualificarli mantenendo nel contempo la loro vitalità? Qualcuno prospetta parchi e parchetti altri invocano il ritorno della popolazione e della mobilità dolce. Sembrerebbe facile ma ci si dimentica che soprattutto i nuclei originali sono d’una rigidità mostruosa. Lo attesta ancora la nuova legge edilizia attualmente in discussione senza scomodare il catalogo ISOS ed i vari volumi protetti. Ma perché ravaniamo l’argomento dopo aver affermato che sarebbe opportuno affidare a qualche gruppo di giovani architetti navigati da qualche architetto di lungo corso dei nuclei da riqualificare? Perché un urbanista di grido a livello nazionale ha recentemente evidenziato la necessità di portare nel centro urbano nuove attività e perché la recente scomparsa dell’Arch. Snozzi con il laboratorio da lui condotto con le autorità politiche per il recupero di una zona del Comune di Monte Carasso, ne attualizza l’argomento. Qualcuno propone di lavorare su comparti, se volete su isolati, facendo in modo di portare in un raggio di una ventina di minuti a piedi tutti servizi essenziali. Ma quali vista la digitalizzazione in atto? E soprattutto come! Ridisegniamo nuovi spazi, li colleghiamo diversamente, garantiamo un accesso decente demolendo magari qualche cosa!?

La nostra Banca Nazionale non molla la presa in difesa del “franco” rastrellando valori a tutto spiano al punto che anche gli USA ci stanno additando come manipolatori veri e propri. A quanto sembra se continua con questo ritmo la BN avrà 1000 miliardi in pancia in valute, obbligazioni ed azioni. È diventata se vogliamo una sorta di fondo “sovrano” che finora, e va detto, è stato gestito alla grande. Buone plusvalenze e redditi che hanno alimentato la cassa della Confederazione e dei Cantoni. Qualche menagramo sottolinea che se i valori dovessero sgonfiarsi improvvisamente potremmo anche essere costretti ad un atterraggio di emergenza con il rischio di finire fuori pista. Francamente però non lo crediamo possibile e se fosse per denegata ipotesi il caso, ci troveremmo in buona compagnia. Questo attestato di simpatia diventa però meno brillante completando il discorso con i famosi tassi negativi che massacrano gli averi depositati e non investiti. Insomma il risparmio cautelare personale di un certo peso e quello collettivo. Ora questa penalizzazione diventa ancora più evidente con la decisione delle banche di ribaltare maggiormente sul cliente l’onere dei tassi negativi come avevano per così dire anticipato. È una operazione domino innescata dalla banca più importante del paese anche se, come detto sopra, alcune banche regionali l’avevano preceduta. Il record dell’asticella più bassa, almeno se consideriamo i volumi e l’immagine, l’ha la Postfinance, il ramo finanziario dell’ex regia federale che il Consiglio Federale intenderebbe porre sul mercato in modo che si possa muovere ufficialmente come istituto bancario. Fino a quando si andrà in avanti a praticare questo 0,75% sul risparmio? Boh! È in fatto tecnico ed al politico “croupier” va bene così! Di certo però non va bene al risparmiatore.

La pandemia non molla ancora la presa anche se i vaccini la stanno accerchiando. I danni sono notevoli. I primi quelli esistenziali confrontati con prospettive da correggere. È anche venuta meno la cieca fiducia nella scienza e la paura serpeggia. Un mix sconfortante. I secondi sono quelli temporali. Gli anni persi che per una certa fascia d’età contano il doppio se non il triplo. Pensiamo anche alla nostra gioventù alla quale mancherà un tassello di esperienza e di brio, elementi che maturano con il tempo. Da ultimo quelli economici. Dovremo chiudere determinati percorsi perché le premesse sono venute meno. Ciò costerà tempo e denaro. Inoltre andranno sorrette le attività con buone prospettive e che ora stanno soffrendo. Perciò altri debiti da mettere a carico del paese ed alle prossime generazioni. Dobbiamo però dare atto che il paese ha reagito con una rete di aiuti impressionate. Aiuti a fondo perso, prestiti ponte, aiuti agli indipendenti, messa a carico dei disoccupati dovuti alla politica di contenimento al fondo per la disoccupazione ed i recenti aiuti per i casi di rigore. Insomma si è messo in atto tutto quanto possibile. Qualcuno vorrebbe anche che la Banca Nazionale fosse della partita e mollasse una fettina del tesoretto di cui abbiamo parlato sopra. Fin qui è un danno cifrabile. Meno quello riconducibile al venir meno della voglia d’investire o meglio detto di far impresa. Ed abbiamo l’impressione che qualcuno stia gettando il sacco per sfinimento dopo aver esaurito le riserve di guerra. L’equazione che ne deriva è abbastanza semplice: meno imprese meno lavoro!

L’alloggio in proprietà è sempre un obiettivo presente nella lista del ceto medio specialmente alla luce della desertificazione dei redditi del risparmio ed alla persistente disponibilità di capitale di terzi a costo stracciato che come sappiamo è però condizionata. Bisogna infatti superare lo scoglio del calcolo della sostenibilità. Per render l’idea bisognerebbe avere un reddito lordo tre volte superiore al valore di copertura iniziale che si aggira attorno al 5-5,5% del prezzo d’acquisto. Una asticella impegnativa per coloro che puntano all’acquisto con il 20% dei mezzi propri. L’acquisto diventerebbe per contro molto più accessibile in presenza di un finanziamento di terzi limitato al 66% del prezzo d’acquisto. Ora ci stiamo chiedendo se non valga la pena rivedere questa “formula” tanto più che i tassi resteranno ancora per qualche anno ai minimi storici e questa pandemia oltre che ad alimentare il risparmio dovuto al forzato “non consumo” invita ad alzare lo sguardo ed a pensare a lungo termine giocando in casa. Sarebbe quindi auspicabile una lettura un po’ meno rigorosa da parte delle autorità finanziarie. Perché non convenzionare un “affitto” con l’istituto di credito composto dalla copertura dell’interesse e dell’ammortamento della seconda ipoteca. Un “affitto” costante che comprenda interesse ed ammortamento della seconda ipoteca. Con il prontuario delle tavole finanziarie un calcolo alla portata di tutti.

Ora, ai soliti luoghi comuni se n’è aggiunto uno nuovo! La popolazione decresce perché costretta ad abbandonare il paese troppo caro e con prospettive insufficienti. Una fuga di cervelli e di mani qualificate! Certo questa dinamica è in parte possibile, ma è marginale. La realtà è abbastanza semplice: il tasso di natalità decresce ed è nettamente insufficiente per garantire una crescita della popolazione. È la famosa peste bianca che investe il mondo occidentale. Se cresciamo lo dobbiamo all’immigrazione!

Da ultimo ci auguriamo seriamente che il paese abbia a superare il più in fretta possibile questo triste momento. E non solo! Che il paese sappia interrogarsi su quanto sapeva fare e quanto potrebbe ancora fare senza scivolare nel presentismo di giornata. Ci serve un piano fattibile con un arco temporale di qualche decennio e soprattutto una classe politica che sappia dialogare, convincere e condurre il paese. Lo dobbiamo soprattutto ai nostri giovani che hanno dimostrato di onorare con pazienza e rispetto il vero patto generazionale! Ma se vogliamo una leadership dobbiamo garantirle lo spazio necessario insonorizzando il chiacchiericcio! Magari introducendo una soglia di sbarramento come altri Cantoni e città. Poi toccherà ai partiti riposizionarsi con chiare priorità e programmi operativi. E non da ultimo: formare la futura classe dirigente.


Il Presidente Cantonale
Lic. rer. pol. Gianluigi Piazzini