Da Economia Fondiaria no. 2/2023

Nel silenzio generale i nodi stanno per arrivare al pettine

A larga maggioranza il 3 marzo 2013 il Popolo svizzero ha approvato in votazione popolare una modifica della Legge federale sulla pianificazione del territorio (LPT) disposta dal Parlamento federale quale controprogetto indiretto all’iniziativa popolare per il paesaggio, che chiedeva di non aumentare la superficie totale delle zone edificabili in Svizzera per 20 anni.

La LPT prevedeva già il principio secondo cui all’interno delle zone edificabili dovessero essere inclusi solo i terreni prevedibilmente necessari per essere sfruttati a fini edificatori entro un orizzonte di 15 anni. L’aspetto centrale stabilito dalla novella legislativa è stato quello di rendere vincolante questo enunciato, introducendo un obbligo di definire le zone edificabili in modo tale da soddisfare il fabbisogno prevedibile per 15 anni e, nel contempo, un obbligo di ridurre l’estensione delle zone edificabili sovradimensionate.

Il dibattito pubblico che ha preceduto la votazione si è incentrato sulla necessità di porre un freno all’estensione delle zone edificabili e alla dispersione degli insediamenti, lasciando trasparire una generale volontà intesa a permettere un’attuazione “graduale” delle modifiche, nel senso che le stesse avrebbero iniziato ad esplicare i loro effetti unicamente diversi anni dalla loro adozione. Questo in quanto i Cantoni avrebbero dapprima dovuto adeguare i loro Piani direttori e, solo dopo questo primo passo, i Comuni avrebbero dovuto procedere alla revisione dei loro Piani regolatori.

Come spesso avviene in ambito pianificatorio, il tempo è poi trascorso, con l’attuazione delle nuove disposizioni che è sostanzialmente uscita dai radar del dibattito pubblico. Se nella maggior parte dei Cantoni, l’esercizio è stato portato a termine rapidamente e in maniera indolore, il Canton Ticino è arrivato tra gli ultimi, con la pubblicazione delle proposte di modifica del Piano direttore che ha avuto luogo unicamente nel mese di luglio del 2018. Diversamente da quanto avvenuto in altri Cantoni, in Ticino il Dipartimento del territorio ha previsto di scaricare integralmente sui Comuni il compito di attuare le nuove disposizioni della LPT, lasciando al Cantone unicamente il compito di stabilire, attraverso la nuova Scheda R6 del Piano direttore cantonale, le modalità concrete ed i parametri da impiegare per la verifica del dimensionamento delle zone edificabili.

29 Comuni hanno interposto ricorso contro la nuova Scheda R6 contestando, in particolare, la suddivisione delle competenze e, nel contempo, le gravi ripercussioni che l’implementazione della riforma avrebbe potuto avere, in particolare (ma non solo), per le zone periferiche del Cantone.

La palla è quindi passata nel campo del Gran Consiglio, con i lavori commissionali che hanno permesso di correggere parzialmente il tiro per quanto attiene alla definizione di alcuni parametri significativi, primo fra tutti quello relativo alla determinazione concreta dell’ammontare delle riserve edificatorie riconducibili a terreni liberi da costruzioni.

Il 21 giugno 2021 il Gran Consiglio ha quindi approvato la nuova scheda R6 del Piano direttore ed evaso i ricorsi dei Comuni, accogliendoli sì parzialmente ma respingendone comunque le richieste principali. Oltre ad approvare le modifiche del Piano direttore, il parlamento cantonale ha pure approvato l’istituzione di un fondo cantonale per lo sviluppo centripeto, con una dotazione di 5 milioni di CHF, concepito per finanziare il 50% degli indennizzi per espropriazione materiale che i Comuni potrebbero essere chiamati a sostenere per gli eventuali dezonamenti che dovessero essere tenuti ad effettuare.

A destare più di una preoccupazione è il fatto che l’intero esercizio sia stato portato avanti nell’incertezza più totale circa l’effettivo ordine di grandezza dei dezonamenti (o delle riduzioni degli indici edificatori) che si renderanno effettivamente necessari e, di riflesso, dei costi che l’intera operazione potrebbe determinare. Nonostante alcune voci critiche, per finire è passata la linea per cui le preoccupazioni finanziarie fossero da ritenere premature, visto che le procedure giudiziarie dureranno presumibilmente anni e pertanto non fosse al momento necessario disporre di 5, 50 o 200 milioni di CHF per i risarcimenti (N.d.R.: come se fossero noccioline).

Con la recente approvazione della Scheda R6 da parte della Confederazione è poi giunta la doccia fredda relativa al fatto che l’intero esercizio sarà da effettuare tenendo conto delle previsioni di sviluppo demografico più recenti, che preconizzano un aumento della popolazione cantonale molto più contenuto, rispetto agli scenari precedenti. Il che, tradotto, significa che le riserve edificatorie potrebbero risultare molto più ampie del previsto.

Nel silenzio generale i nodi stanno purtroppo per giungere al pettine, visto che i Comuni hanno tempo sino al 2024 per presentare al Dipartimento del territorio la verifica del dimensionamento dei loro Piani regolatori. A seguire i Comuni con zone edificabili sovradimensionate dovranno poi procedere ad elaborare le strategie di riduzione delle riserve entro il 2026.

A mente di chi scrive, difficilmente si potrà fare astrazione da una modifica dei parametri di riferimento della Scheda R6, sia perché non tengono conto in maniera sufficiente delle specificità e delle differenze delle diverse realtà comunali, sia perché è indispensabile un’armonizzazione dei risultati e delle strategie di intervento almeno a livello regionale, se non addirittura cantonale. È inoltre fondamentale che si faccia chiarezza sull’effettiva portata dei dezonamenti e delle riduzioni degli indici che si renderanno necessari, verificando l’effettiva sostenibilità economica dell’esercizio e garantendo l’effettiva disponibilità delle risorse necessarie per il versamento di congrui indennizzi a tutti i proprietari che saranno toccati.


Il Vicepresidente CATEF
Avv. Gianluca Padlina