Da Economia Fondiaria no. 3/2021

Molto si è dibattuto sulla questione e degli inquilini hanno ritenuto di essere vittime di ingiustizia se non venivano esonerati dal pagamento della pigione. A distanza di un anno dal primo lockdown, e con un po' di distacco, vediamo di fare il punto della situazione.

Come si ricorderà, il lockdown dell'anno scorso che, a dipendenza del tipo di attività, si è protratto per un periodo diverso  ma perlopiù da metà marzo a fine aprile/inizio maggio, è stato un momento molto difficile; in primis dal profilo della salute e sanitario, ma anche psicologico, fisico (specie per il personale di cura), e dal profilo commerciale ed economico...

Questa particolare situazione ha portato ad un moto di solidarietà nella popolazione sia nei rapporti con i vicini piuttosto che con persone della fascia debole, come anche nei confronti di coloro che non potevano esercitare la loro attività lavorativa. La solidarietà ha pure spinto anche la  maggioranza dei locatori a concedere delle facilitazioni ai loro inquilini (dilazioni, riduzioni della pigione o altri vantaggi contrattuali).

In quelle settimane frenetiche, complice anche l'insicurezza e talvolta delle esternazioni emozionali, si è assistito a delle prese di posizione lapidarie e un po' avventate, con le quali c'era chi sosteneva che l'imposizione della chiusura dell'attività doveva essere sopportata integralmente dai locatori che avrebbero dovuto esonerare l'inquilino dal versamento della pigione, mentre l'inquilino avrebbe dovuto assumersi unicamente il calo della  cifra d'affari.

Da parte nostra ci siamo sempre adoperati per diffondere il principio del dialogo e della solidarietà, e per trovare soluzioni ragionevoli e sopportabili per entrambe le parti. Dal canto suo il Consiglio federale ha da subito precisato di non volere decretare alcuna riduzione della pigione invitando le parti al dialogo in vista di trovare delle soluzioni concordate. Esso ha però deliberato aiuti finanziari miliardari (in forma di fideiussioni o prestiti, con due pacchetti da 40 miliardi di franchi l'uno) per aiutare le aziende e gli indipendenti a fare fronte ai loro oneri, essenzialmente nei confronti del loro personale e dei loro creditori... Nel contempo ha anche prolungato da 30 a 90 giorni il termine di diffida di cui all'art. 257d CO, per il pagamento delle pigioni scoperte relative al periodo dal 13 marzo al 31 maggio 2020 e ciò per limitare le disdette per mora nel pagamento delle pigioni dovute nel periodo più critico.

Su pressione di singole associazioni, della questione delle pigioni dovute dagli inquilini di attività rimaste chiuse causa lockdown, si è poi occupato il Parlamento; sull'arco di diversi mesi esso ha discusso e infine respinto la proposta di ridurre del 60% la pigione durante il lockdown, laddove le parti non  avessero già trovato un'intesa. Per venire incontro ai proprietari che si fossero trovati in grave difficoltà per gli sconti imposti, il progetto prevedeva la costituzione di un fondo. Il Parlamento ha però infine respinto la proposta di legge.  La decisione è riconducibile soprattutto a due motivi: che nella maggior parte dei casi le parti avevano già trovato un'intesa e al principio della parità di trattamento; infatti il 60% delle aziende e dei commerci toccati dal lockdown esercitano la loro attività in locali propri e questi non avrebbero  certo potuto usufruire di sconti nell'ordine del 60% sui loro costi fissi. Determinante è quindi stata l'elargizione di ingenti crediti e fideiussioni alle imprese e ai commerci colpiti da chiusura, destinati a coprire anche i costi fissi, come la pigione (se inquilini), piuttosto che gli oneri ipotecari e di manutenzione (se proprietari).

In alcuni casi gli inquilini non si sono dati per vinti e hanno deciso di adire i tribunali chiedendo una riduzione molto sostanziosa della pigione (magari anche totale) per tutto il periodo della chiusura imposta dell'attività. Dato che la questione è del tutto nuova e mai decisa dai tribunali in precedenza, chi adisce il tribunale si assume un rischio processuale importante, anche perché in dottrina la questione di una riduzione è controversa e le posizioni sono diametralmente opposte, anche se la dottrina maggioritaria è contraria all'imposizione di riduzioni della pigione, con argomenti peraltro decisamente convincenti, che lasciano ben sperare in un esito positivo di eventuali contestazioni.

Di seguito indichiamo qualche argomento, ritenuto che per brevità ci soffermeremo solo sui due punti principali ossia:

a) la richiesta di diminuzione della pigione per difetto dell'ente locato e

b) un adeguamento del contratto in funzione della clausula rebus sic stantibus


a) La richiesta di diminuzione della pigione per difetto dell'ente locato

La richiesta mira ad ottenere una riduzione della pigione conformemente agli art. 259a e 259d CO, sostenendo che la cessazione obbligatoria dell'attività ordinata dall'autorità costituisca un difetto dell'ente locato che giustifichi una riduzione o l'esenzione integrale del pagamento della pigione per il tempo della chiusura.

Secondo tali norme un difetto è realizzato se l'ente locato si trova in uno stato diverso da quello appropriato e idoneo all'uso per il quale la locazione è stata pattuita, e non presenta le caratteristiche convenute, o cui ci si poteva ragionevolmente attendere.

Le chiusure ordinate dall'autorità hanno lo scopo di evitare gli assembramenti e di garantire la distanza sociale, per evitare la diffusione dei contagi. Esse concernono i gerenti dell'attività (indipendentemente da un rapporto locativo) e non invece i locatori in quanto tali; ad essere vietato è infatti appunto l'esercizio del commercio (e l'accesso al pubblico) ma non il locale in sé, che sarebbe  invece perfettamente idoneo all'uso pattuito, tanto è vero che si potrebbe ancora esercitare l'attività, nella misura in cui non vi sia accesso di pubblico e fossero presenti solo pochissime persone (ad esempio per preparazione di pasti per il take away  o da congelare per il post lockdown, piuttosto che l'invio di determinata merce o lavori amministrativi)...

Ritenuto che il locatore non è il destinatario delle prescrizioni di chiusura dell'attività, va detto che lo stesso neppure ha mai garantito e nemmeno garantisce che l'attività non potrà mai rimanere chiusa. Ricordiamo che la decisione di chiusura è la conseguenza di una pandemia che nessuno si era mai immaginato e che quindi le parti non hanno mai pensato di inserire nel contratto.

Parimenti è anche opportuno ricordare che i rischi che si assumono le parti sono diversi: i rischi del locatore sono quelli legati alla gestione dell'immobile come l'insolvenza degli inquilini, l'evoluzione dei tassi ipotecari, la manutenzione dello stabile, i premi assicurativi, ecc. Rischi degli inquilini sono, invece, quello economico e di impresa, come nella fattispecie.
L'esempio che segue illustra perfettamente la situazione. Un proprietario ha nella stessa casa due attività diverse: una discoteca e un farmacista: la prima è completamente chiusa, la seconda rimane aperta e fa ottimi affari. Secondo la teoria del difetto così come invocata da taluni, il locatore dovrebbe esonerare integralmente il pagamento della pigione della discoteca (assumendosi integralmente il rischio), mentre incasserebbe la pigione, usuale, per la locazione della farmacia, nonostante il suo fatturato sia notevolmente cresciuto. Sarebbe del tutto iniquo. Il locatore si assumerebbe le perdite e non i guadagni! In verità il rischio economico (positivo o negativo) è ad esclusivo carico dell'inquilino!

Al di là del fatto che già la corretta interpretazione della legge depone per questa conclusione, la  stessa è stata di fatto anche confermata dal Consiglio Federale e dal Parlamento: il primo ha in particolare precisato nel messaggio alla legge federale sulle pigioni e sui fitti durante le chiusure aziendali e le limitazioni ordinate per combattere il coronavirus (COVID-19) che "la chiusura e la limitazione dell'attività sulla base dei provvedimenti adottati dalla autorità a seguito della pandemia ... non rientrano nella responsabilità dei locatori" e che "per la durata della chiusura disposta dalla Confederazione le aziende interessate possono versare il 40% della pigione o del fitto determinante ... Ciò costituisce una deroga alle disposizioni del CO."
E ancora: "La normativa proposta rappresenta un modo efficace per attenuare rapidamente gli effetti della pandemia".

Il fatto che infine il Parlamento abbia deciso di non approvare la legge, permette di dedurre la presenza di un silenzio qualificato che impedisce di fatto al Giudice, in applicazione del principio della separazione dei poteri, di intervenire, salvo in caso di abuso di diritto o di violazione della costituzione  (STF 139 I 57 cons. 5.2).

In altre parole, confrontato con il fatto che il CO non permette di trovare un'ottimale soluzione, il legislatore si è chinato sulla questione di intervenire nel rapporto giuridico tra privati (imponendo la riduzione della pigione) e, dopo discussione, ha deciso di non agire in questo senso. La conseguenza fondamentale della cosciente e volontaria astensione del legislatore è quella di impedire al tribunale di andare proprio nel senso in cui il legislatore stesso non ha voluto andare. Il potere giudiziario non può sostituirsi o, meglio, contraddire, questo giudizio.

Questa soluzione si inserisce peraltro anche nel contesto europeo, dove non ci risulta che la pigione sia mai stata diminuita in funzione di una norma legale o di una sentenza... Tutt'al più è stato impedito di dare la disdetta in caso di mora nel pagamento delle pigioni, ciò che non fa comunque decadere il debito del conduttore.


b) La clausula rebus sic stantibus

Un altro argomento che viene talvolta sollevato per giustificare una riduzione della pigione è la clausula rebus sic stantibus. Essa trova applicazione molto raramente e in casi del tutto eccezionali, e permette di modificare o porre fine ad un contratto se successivamente alla sua stipulazione sopraggiungono degli eventi che portano ad un tale squilibrio fra le prestazioni contrattuali, che la richiesta di mantenimento invariato del contratto da parte di un contraente risulta abusivo. La clausula è un’eccezione al principio della fedeltà contrattuale e quindi va applicata solo in modo molto restrittivo (STF 4A_494/20018 del 25.6.2019 cons. 2.5.3).

Presupposti fondamentali sono segnatamente l’esistenza di un grave disequilibrio tra le prestazioni contrattuali, ciò che presuppone anche un atteggiamento usuraio da parte di una parte nei confronti dell’altra.

La condizione del grave disequilibrio è legata anche al fattore temporale e il Tribunale federale ha già avuto modo di stabilire che un periodo di sei mesi non è da considerarsi sufficientemente lungo!

Il grave disequilibrio va poi considerato nella sua globalità, sicché se, ad esempio, durante il lockdown l'attività fosse nulla ma successivamente si registrasse un periodo molto positivo, anche questo andrebbe considerato. Presuppone anche che la persona dimostri di non avere in alcun modo potuto contenere le perdite per un periodo prolungato, ad esempio offrendo prodotti da take away, oppure che non potessero (ad esempio per un albergo) ospitare personale frontaliero ecc.

Soprattutto però, il grave disequilibrio  non è realizzato in presenza di ingenti aiuti statali, che hanno impedito alle parti di cadere in uno stato di grave indigenza.

Nell'improbabile ipotesi in cui fosse veramente dato un caso di clausola rebus sic stantibus, sarebbe il giudice a dover determinare la soluzione che le parti avrebbero adottato in buona fede se avessero previsto la modifica delle circostanze alla stipulazione del contratto, tenendo conto che anche il debitore deve assumersi una parte dei rischi del cambiamento delle circostanze (Tercier/Pichonnaz, Le droit des obbligations, 2012 n. 979b). Nel far questo, il giudice deve inoltre scegliere la soluzione meno invasiva.

Segnaliamo infine che i tribunali germanici - che già si sono chinati sugli stessi interrogativi - hanno ripetutamente stabilito che le difficoltà economiche subite dai commerci durante un tempo limitato, non causano una minaccia sufficientemente grave alla loro esistenza, tale da giustificare un adeguamento dei contratti, e nemmeno costituiscono un difetto dell'ente locato che giustificherebbe una riduzione della pigione.

Di seguito troverete in aggiunta a quelli già sopra menzionati, altri riferimenti dottrinali:



Avv. Renata Galfetti