Da Economia Fondiaria no. 3/2018

Le Ferrovie Federali Svizzere hanno chiuso in nero l’ultimo esercizio grazie alla gestione immobiliare ed alla cessione di alcune tracce.
Senza queste due fonti l’esercizio si sarebbe infatti chiuso in precario equilibrio.
Se da una parte troviamo la conferma di una oculata ed aggressiva gestione dei beni immobili, le FFS hanno fra l’altro le più importanti riserve strategiche nelle agglomerazioni urbane, lascia un pelino sorpresi la cessione di diritti (ricavi da infrastrutture).
Almeno così l’abbiamo interpretato.
Preoccupa invece la drammatica situazione della filiale “CARGO” che si trova in una situazione di prefallimento qualora non la si ricapitalizzi per l’ennesimo volta.
Si parla di 100 milioni da far affluire alle casse della SBB Cargo AG.
E per finire le FFS si sono viste sfilare due tratte importanti dalla concorrente Lötschberg & Co. che presidia con successo una parte importante del paese.
Quindi il men che si possa dire è che qualche cosa non quadra.
L’azienda è probabilmente impigliata nel proprio mandato, fa fatica a reggere la concorrenza, ha una occupazione media non sufficiente, ha sottovalutato la flessibilità del trasporto su gomma, è rimasta spiazzata nella logistica e via dicendo.
Qualche domanda andrebbe quindi fatta specialmente ora che ci si è resi conto che malgrado puntelli vari l’azienda non rientra più nell’argenteria del paese.
Almeno dal punto di vista economico!
Come altri servizi pubblici il grido di dolore trova sfogo nell’additare l’avvenuta privatizzazione dell’azienda.
Una bufala gigantesca che piace ai progressisti ed ai sindacati.
In realtà è una società anonima che sottostà al codice delle obbligazioni e che dovrebbe almeno pareggiare i conti dopo aver provveduto ad ammortizzare quanto prescritto ed a generare risorse da investire nella struttura.
Meglio ancora sarebbe apportare qualche milioncino anche alla cassa dell’azionariato unico.
Che siamo poi tutti noi.
Se non ce la fa consegna i libri, in gergo “capotta”.
Anche per le PTT la situazione non è delle migliori. Qualche trucchetto contabile, sportelli fra scaffali e detersivi, spaccio poliedrico (dai francobolli ai telefonini), planata nel mondo bancario e qualche incursione all’estero non molto brillante.
Diciamo che queste due ex-regie non solo hanno perso dello slancio ma faticano a metabolizzare lo stacco dal prosperoso petto materno dove i risultati si potevano frullare nel calderone.
Per dirla in modo diverso faticano a reggere la concorrenza.

Le casse pensioni si dichiarano sempre più preoccupate degli scarsi rendimenti del loro patrimonio.
Il terzo partner assieme ai lavoratori ed ai pensionati.
Specialmente quelle pubbliche che veleggiano con gradi di copertura insufficienti e nettamente peggiori di quelle private.
Il perché?
Qualcuno lo giustifica con prescrizioni di piazzamento troppo conservative (minor rischio possibile!), altri con condizioni troppo generose, altri ancora con gli stipendi meno brillanti dei nuovi affiliati e quant’altro.
Al tutto si aggiungono redditività deludenti (anche se per lo meno superiori all’inflazione) e la ferma volontà di campare più a lungo possibile da parte dei pensionati.
Come per le FFS l’investimento immobiliare ha retto alla grande contribuendo con il suo flusso di cassa mensile a coprire le spese di struttura.
Peccato che le casse pensioni e gli istituzionali di tipo previdenziale si siano distanziati negli ultimi anni proprio dall’investimento immobiliare considerato impegnativo dal profilo amministrativo.
Meglio un estratto conto di un istituto bancario attestante consistenza e resa del patrimonio affidato che confrontarsi con una miriade di contratti di locazione e conteggi vari.
Oggi se ne pentono e non per nulla sono rientrati a sportellate nell’investimento.
Sorprende che i rappresentanti degli inquilini vogliano ora rispolverare il famoso formulario per la pigione iniziale sonoramente bocciato sia a livello federale che cantonale; un loro contributo alla burocrazia in un mare di appartamenti vuoti.
Ma come sappiamo una raccolta firme a poche mesi dalle elezioni serve anche per piazzare bandiere e bancarelle puntando il dito senza passare all’operativo.

A quando una bella cooperativa “il mattone per tutti”?
Ci sarà pure qualche timorato o nostalgico pronto a scucire delle quote senza scomodare i soldi pubblici, a meno di chiedere qualche contributo extra al fondo del lotto!
La Confederazione finanzia e garantisce, meglio di così si muore.
Forza e coraggio. Magari sarà più scomodo mettersi la tuta del promotore ma senz’altro sarebbe più gratificante.
Bisognerà però prima condividere il prodotto che dovrà essere gioco forza il più semplice possibile, ripetibile e di modeste dimensioni. La classica utilitaria di famiglia!
Nel caso contrario si sbatterebbe contro il classico muro del costo di costruzione.
L’idea di convincere proprietari a vendere a delle cooperative costituite ad hoc va esplorata, anche se noi rimaniamo molto scettici già solo considerando le vetustà degli immobili ed i valori dei terreni.
La cessione di stabili esistenti avverrebbe a rigor di logica a valore di mercato, fatto che complicherebbe notevolmente la loro conversione.
Ma come si suol dire “mai dire mai”.

A proposito di casse pensione, fra quelle in difficoltà vi è anche la cassa pensione statale, quella che è già stata soggetta ad una trasfusione pochi anni fa, e che oggi si presenta ancora anemica al punto che il Governo dovrà proporre a breve una seconda trasfusione.
Di sicuro questa carenza non è dovuta all’investimento immobiliare, anzi peccato che si trova al di sotto della quota possibile, ma alla asfittica resa dell’investimento “carta” affidato a diversi istituti bancari.
Probabilmente il difetto risiede anche in taluni meccanismi che i gestori hanno purtroppo ereditato.
Ora il dibattito verrà per forza riaperto con l’augurio che i diversi ex-funzionari particolarmente attivi nel criticare il sistema e tutto quanto l’attornia partecipino alla discussione e se del caso facciano un gesto a favore dei giovani colleghi che sono chiamati a “stantuffare” senza trincerarsi dietro lo steccato “dei diritti acquisiti”.
La comunità dei contribuenti, già chiamata a ricapitalizzare, ringrazierebbe commossa ed incredula!

La CATEF ha risposto alla consultazione del Governo sul piano del risanamento dell’aria e sulla nuova legge edilizia. Sul primo ci siamo espressi in modo succinto perché buona parte dello stesso è stato risucchiato da altri piani e conseguentemente diluito. Sulla legge edilizia ci siamo invece maggiormente soffermati.
Non stiamo a riportarvi l’intero contenuto limitandoci a qualche considerazione e alle nostre conclusioni. Conclusioni che dovrebbero convincere il Dipartimento a rifare in parte i compiti.
Almeno nel rispetto dei promotori, dei proprietari e dei Comuni.
Ci conforta comunque il fatto che diverse sono state le risposte contraddistinte da un palpabile scetticismo.
L’impressione condivisa è che “si semplifica per complicare”!
Particolare attenzione, sebbene non era proprio il tema principe della riforma, l’abbiamo dedicata nell’ambito della nostra risposta ai nuclei ed alla mancanza di flessibilità nel recupero e nella riqualifica dell’esistente, specialmente di quello datato (lo zoccolo duro dei nuclei stessi).
Per quanto riguarda i nuclei, che in taluni villaggi si stanno persino “sbricciolando”, si dovrà perciò fare una pensata non da poco.
Come pure per i nuclei cittadini, ormai diventati comparti mummificati, che avrebbero bisogno di norme incentivanti e flessibili per agevolare il loro recupero funzionale.
In concreto: le nostre norme sono tagliate sul nuovo e non sul “vecchio”.
E questo è un grosso problema.
Meno ovviamente per il datato fatiscente di immediata periferia, la produzione dell’immediato dopoguerra, il cui destino è ormai tracciato.
Meglio garantirgli una dignitosa quiescenza senza particolari accanimenti.
Per qualcuno siamo diventati assolutisti ma purtroppo è la realtà delle cose che ci ispira, anche se talvolta calchiamo la mano nella speranza di suscitare la necessaria attenzione.
Ora il vero problema è quindi l’esistente che va in parte aggiornato per agganciarlo al cambiamento in atto.
Non da ultimo perché nuovi azzonamenti non sono previsti.
Quindi il campo di gioco è delimitato.
A completamento riportiamo un contributo, oltre alle citate conclusioni, della nostra segretaria cantonale che si è chinata sulle convergenze emerse dalle risposte degli attori principali alla procedura di consultazione della legge edilizia.

Ritornando, perché presi da inguaribile nostalgia, all’argomento Piano Direttore ed all’implementazione della Legge federale della pianificazione del territorio, oggetto di una recente procedura di consultazione e riagganciandoci alla tranquillante dichiarazione che in Ticino non vi sarebbero state riduzioni delle zone edificabili in esubero, specialmente nelle valli, abbiamo preso atto con un certo stupore della dichiarazione del Governo Retico che considera le loro zone edificabili troppo estese.
Al punto che ben 67 Comuni su 108 dovranno ridurle sulla falsa riga del Piano Direttore aggiornato e che solo una ventina, quelli del fondovalle, presentando una riserva insufficiente, potranno chiedere prima o poi un ampliamento della loro zona residenziale.
Interessante l’intenzione di istituire un fondo speciale per indennizzare i proprietari per i “dezonamenti” che per altro avverranno nelle valli dove i valori sono modesti e la domanda dormiente.
Troviamo quindi la conferma dell’affermazione della Dr. Lezzi riportata nell’ultima EF che specificava che gli esuberi andavano verificati Comune per Comune per poi azionare in loco il tosatore.
Da noi invece calma piatta!
Magari nella marea di atti parlamentari pre-elezioni tesi al “c’ero anch’io” qualcuno potrebbe occuparsi della questione.

Al tramonto di legislatura riaffiora un classico argomento: il valore locativo, quell’affitto virtuale che il proprietario paga a sé stesso. L’inquilino non può detrarre l’affitto e quindi per parità e per creare un equilibrio, il proprietario va tassato. Si argomenta anche che si tratta di un bene in natura.
La vera partita si gioca sulla deducibilità o meno degli interessi ipotecari e delle spese di manutenzione.
Oggi con dei tassi fissi ai minimi storici è più conveniente l’abolizione, diversamente che negli anni novanta quando i tassi ipotecari erano alle stelle.
Per gli OVER, in genere senza un franco di debito il discorso è chiaro!
Il valore locativo va abolito e basta!
Oggi sembrerebbe che la proposta di abolire abbia buone chances in Parlamento, sempre che si rinunci alla fiscalizzazione degli oneri ipotecari.
In modo conciso: il valore locativo verrà abolito e le spese di mantenimento potranno essere detratte dal reddito ma non gli interessi ipotecari.
Le associazioni di riferimento sarebbero d’accordo con questa soluzione ed a quanto sembra anche i Cantoni ed i Comuni.
In ultima analisi l’abolizione premia il risparmiatore, abbatte la burocrazia e toglie il fiato ai perennemente “contro”.
Resta purtroppo “imposta” la seconda residenza.

193. Sorpreso a 193 all’ora nell’abitato? No! È lo scarto fra coloro che erano propensi a trattenere il più possibile il capitale di punta e quelli che erano disposti a rischiare di lasciarlo partire per altri lidi.
Non solo uno scarto minimo ma una partecipazione a dir poco scandalosa. C’è chi l’ha giustificata con la presenza di un solo tema in votazione, altri con la contrapposizione classica ed altri ancora con la scarsa “appetibilità” del tema. E vista che la partecipazione nelle rispettive roccaforti è stata più o meno la medesima è probabile che la terza ipotesi sia la più gettonabile.

Il 4 giugno p.v. si terrà l’assemblea cantonale fatto che impone la verifica di quanto fatto nel corso di un anno. Intanto si é constatato il buon grado del servizio di consulenza ai soci che è bene sempre ricordare che è gratuito e non legato ad una sorta di Tarmed in funzione della durata.
Parimenti è stata verificata la consolidata presenza politica a difesa della proprietà dei Ticinesi partecipando a tutte le procedure di consultazioni sia a livello cantonale che federale e la particolare cura nel tessere le necessarie relazioni con le associazioni di riferimento e con il mondo politico.
Ci siamo occupati delle condizioni quadro che reggono ed orientano i valori dell’economia fondiaria qualificandoci come interlocutori privilegiati per i Comuni, Enti ed Istituzioni, onorando così lo statuto della nostra associazione.
Insomma ci siamo mossi senza invadere campi altrui confermando così la linea direttrice che ha da sempre orientato la CATEF.
Noi non vendiamo, non amministriamo e non patrociniamo!
È compito dei professionisti, in buona parte nostri soci, e non il nostro, anche se lo potremmo poi anche assolvere.
Noi continuiamo a tracciare il campo ed a difendere le regole del gioco che tutelano al meglio i risparmi ed i sacrifici di voi soci e questo è il nostro ripagante compito!


Il Presidente Cantonale
Lic. rer. pol. Gianluigi Piazzini