Da Economia Fondiaria no. 5/2015

Continua il tormentone sugli affitti accessibili a tutti, sulle pigioni moderate e quant’altro. Per la verità, dopo le elezioni se ne sentirà un po’ meno, ma il problema esiste per coloro che presentano una certificata e limitata forza contrattuale tant’è vero che lo stesso è da tempo in agenda delle cooperative. Per il lettore potrà apparire una ovvietà visto che questo tipo d’utenza dovrebbe interessare maggiormente le cooperative che ricordiamo perseguono uno scopo d’utilità pubblica e che possono usufruire di diverse agevolazioni. Ma in effetti non è così scontato. Intanto le cooperative in origine erano iniziative di gente che frequentavano gli stessi ambienti di lavoro oppure di categorie con medesime ambizioni e forza contrattuale. Per rendere l’idea: impiegati federali, operai di industrie importanti, impiegati pubblici insomma bacini di potenziale utenza facilmente coinvolgibile. Cooperative di questo tipo ne nascono oggi sempre meno visto che l’operaio in tuta o l’impiegato delle ex-regie si sono dissolti oppure hanno seguito le esigenze del mercato del lavoro spingendosi più in periferia privilegiandola nelle proprie aspettative. La massa critica, come si suol dire, non è più presente. Resistono le cooperative indotte, quindi meno spontanee, e promosse da promotori avveduti che puntano ad un utile operativo consegnando un prodotto idoneo ad interessati ad una vita comune ed ad un affitto che copra semplicemente i costi. Potremmo quasi parlare di condominio sociale. Uno si accaparra un appartamento accettando il regolamento e garantendo una parte commisurata del finanziamento. Quasi un diritto all’alloggio sempre che si adempiano le regole d’assegnazione fissate dalla cooperativa. Buon comportamento e nessuna morosità. Ora le cooperative in generale sono in flessione. Da noi non è il caso per il fatto che le iniziative sono state veramente poche ma oltre Gottardo è un fatto acquisito. In questo clima le cooperative, alle quali viene conferito da tempo un mandato pubblico privilegiato, sono inquiete. Non sono più sicure di riuscire ad adempierlo e non ne fanno mistero. La prima strategia è stata quella di ributtare la palla nel campo dei Comuni e la seconda di riesumare il discorso dell’aiuto soggettivo. Ovviamente i Comuni non l’hanno presa bene e non si sono mostrati entusiasti del rimpallo al punto, pur di evitare il rischio operativo diretto, di rilanciare pure loro il discorso dell’aiuto soggettivo. Non costruiremo più case popolari, si fa per dire, e passeremo all’aiuto diretto per coloro che con comprovata difficoltà lo dovessero richiedere. Non sosteremo più, o per lo meno la sosterremo meno, la produzione per via indiretta tramite società di interesse pubblico, preferendo sostenere in modo mirato il richiedente.
Un bel pasticcio per i progressisti che hanno sempre sostenuto che l’aiuto soggettivo andava considerato come la “socializzazione dell’affitto” a favore del proprietario e per la Confederazione che negli ultimi anni si è limitata a mettere a disposizione i finanziamenti alle società d’interesse pubblico esternando di fatto la produzione.
“Io ci metto i soldi, o per lo meno li garantisco, e pensateci voi a realizzare la dotazione!”
Per concludere in gioco vi è l’aiuto oggettivo (promuovere a determinate condizioni la costruzione) e l’aiuto soggettivo (indirizzato al singolo richiedente).
Per i Comuni e per la Confederazione una patata bollente, pressati come sono da molteplici sollecitazioni, a meno che decidano di attendere la revisione dell’aiuto sociale (parametri per complementare ed assistenza) attualmente in discussione a livello nazionale. Una sorta di reddito minimo garantito!
Per quanto ci riguarda ci sembra più logico l’aiuto soggettivo concesso in modo mirato e con precisi canoni locativi di riferimento nell’ambito di un sostegno generale.
Si eviterebbero abusi, inutili doppioni i e defatiganti controlli.
Intendiamoci, e l’abbiamo più volte sostenuto, non siamo contro al sostegno delle società di interesse pubblico come le cooperative, solo che ci sorprende il loro atteggiamento di prudente chiusura magari dovuta ad una migliore conoscenza del mercato oppure alla volontà di preservare una loro autonomia dal rischio di pressioni eccessive.
Atteggiamento che non ha consigliato di desistere al solito gruppo di irriducibili, complice le elezioni federali alle porte, di lanciare l’ennesima iniziativa popolare federale.
Titolo: “più abitazioni a prezzi accessibili”, e ti pareva!
Obiettivo: un 10% della nuova produzione sia di proprietà di enti dediti alla costruzione d’abitazioni a scopi d’utilità pubblica.
Per la promozione della costruzione autorizzano i Cantoni ed i Comuni a introdurre a loro favore un diritto di prelazione su fondi idonei (un’idea che ha festeggiato come minimo il mezzo secolo) ed introduce a loro favore un diritto di prelazione secco in caso di vendita di fondi appartenenti alla Confederazione o ad aziende vicine alla stessa (ex-regie e partecipate!) in genere non proprio in mano a sfegatati moderati.

Variante 3A. Non è una sigla per l’inchiostro per una stampante ma l’ennesimo tracciato della tratta Bellinzona-Locarno, la famosa A2-A13. Infatti, con l’invio a Berna di un dossier con altre due varianti si è specificato che la più gettonata è per l’appunto la Variante 3a denominata anche Variante Pianura. Sarebbe realizzabile a tappe e per una parte si snoderà accanto alla ferrovia. A quanto pare questa variante ha raccolto il sostegno anche degli ambientalisti e degli amici del calesse.
Come ben sappiamo, e l’avevamo anticipato diversi anni fa, l’agenda della realizzazione (approvazione, inserimento nel programma e finanziamento) è in mano a Berna fermo restando che toccherà a noi presentarci almeno con una proposta fattibile e condivisa.
Con la presentazione della citata proposta siamo però solo al primo colpo di campanello mentre per poter ambire a sedersi nella sala d’aspetto bisognerà presentare uno studio di fattibilità ed un progetto preliminare, che come sappiamo costano parecchio.
L’asse Locarno-Bellinzona con le sue istituzioni si sta da tempo movimentando.
Ultimamente, e ci piace sottolinearlo, accanto ai sostenitori di una soluzione fattibile e che eviti la situazione di stallo, si sono mossi i giovani o se volete i nuovi politici messi a capo di enti e commissioni.
Pensiamo ai municipali Caroni di Locarno e Gianini di Bellinzona che intendono aggiornare e confermare il sostegno alla richiesta di finanziamento della progettazione preliminare da parte del Governo.
Berna non scuce, proviamoci noi!
Sperando poi che ci riconoscono quanto anticipato.
Il parlamentare Giudici va ancora più lontano suggerendo di finanziare l’intera tratta attingendo al mercato dei capitali attualmente molto interessante.
Per farla breve: bisognerà anticipare una parte dei costi con la prontezza di prendersi a carico buona parte dell’investimento.
Ai giovani politici ed al Governo la CATEF garantisce il pieno sostegno con la raccomandazione di far sottoscrivere una garanzia d’accettazione a coloro che nel nome di una pannocchia o di qualche raganella sarebbero disposti a buttar tutto all’aria o semplicemente portarci di nuovo fuori tempo massimo.
A quando il taglio del nastro?
Ad andar forte nel 2022. Con i tempi normali nel 2025!
E nel frattempo come la mettiamo?
Da radio scarpa parrebbe che la soluzione intermedia risieda nell’utilizzo dell’attuale strada depurata da alcune rotonde ed allargata dove sarà possibile.
Certo non sarebbe male se il Dipartimento od il Governo redigessero una nota esplicativa con i due scenari ed una cartina d’accompagnamento.
Almeno tutti sarebbero aggiornati e non dovrebbero riannodare alla rinfusa spezzoni di notizie come stiamo facendo, anche se a noi interessava significare che esiste una tratta “condivisa”, che converrà nostro malgrado finanziare con qualche soldino: dipendiamo sempre dal programma nazionale, che dei giovani politici responsabili delle organizzazioni di riferimento siano scesi in campo e che una soluzione di ripiego transitoria andrà comunque realizzata.
Ad onor del vero va precisato che anche il Governo ha acceso i motori ed intende presentare un messaggio chiedendo al Parlamento un anticipo per la progettazione.
Con il messaggio in mano speriamo che si possa una volta tanto parlare di un patto per il paese.
Berna permettendo!
Certo che se non ci fossimo incartati qualche anno fa……

Accanto al fiorire di scenari riappare la larvata accusa nei confronti dei proprietari e degli architetti che avrebbero interpretato malamente le direttive e le norme edilizie e le destinazioni volute dai pianificatori ed avallate dai funzionari e dai politici (vedi piani regolatori oggi pomposamente ridefiniti piani di utilizzazione). Ora sappiamo che non è proprio così! Intanto già agli inizi degli anni settanta Berna impose di delimitare le zone edificabili e quelle non edificabili. Fu un lavoro ciclopico che venne tradotto in una carta con la delimitazione delle due zone.
In buona parte rispecchiava le zone provviste delle canalizzazione (o di imminente realizzazione), la zona già edificata ed i piani regolatori di prima generazione. A tal proposito è bene ricordare che esistevano già diversi piani e che quindi non eravamo più in una situazione di giungla come a taluni piace sottolineare.
Chi ci legge è proprietario e conosce la propria localizzazione e la storia dell’evoluzione che gli sta attorno quindi non la tiriamo lunga a sproposito.
Ci premeva comunque precisare che buona parte del territorio dopo gli anni settanta era già codificato e che lo spazio per eventuali birichinate molto limitato.
Anzi a dire il vero in quel periodo furono presentati alcuni progetti di quartiere che oggi verrebbero considerati come intelligenti interpretazioni della moderna pianificazione.
Costruire in alto, far convivere diverse destinazioni e creare la cintura urbana.
Purtroppo allora la discussione fu impossibile non da ultimo perché la resistenza era di natura più ideologica che di concetto.
Un’occasione persa anche perché questa grandi superfici con il tempo vennero frazionate rendendo più difficile recuperare determinati indirizzi.
Dopo il 1980, con la Legge federale della pianificazione del territorio e la sua legge d’applicazione cantonale, si è provveduto a francobollare il tutto cercando di coordinare le varie destinazioni, raccogliendo la benedizione delle autorità comunali, cantonali e federali (queste ultime istanze più attente al piano direttore, una sorta di piano regolatore cantonale).
Quindi da più di un terzo di secolo il territorio è blindato tramite i piani regolatori di seconda generazione pur con qualche variante di ampliamento della zona edificabile e con il congelamento di volumi per il loro contenuto storico, se non per il loro contenuto nostalgico.
In generale nessuna sbragata. Ci si è solo limitati a trascinare l’impostazione originaria malgrado fossero già in balia del cambiamento.
Intendiamoci chi sarebbe stato in grado di valutare a quel tempo i vari cambiamenti come l’invecchiamento, il benessere diffuso, la mobilità in generale, la scomparsa dell’operaio in tuta, le nuove esigenze e quant’altro?
Magari i pianificatori tentarono di far passare qualche indirizzo ma la ricezione è stata deludente.
Ora quali sono i rischi? Che si contrabbandi concetti d’oltre Gottardo o che si giochi con la cassa della sabbia confondendo dimensioni e girando cartelli stradali. O semplicemente di non voler capire il cambiamento negando il confronto con la realtà socioeconomica.
Si demonizzano ancora i centri commerciali che non sono una specialità ticinese ma che furono importati dall’altopiano “svizzerotedesco” o dalla vicina Brianza come pure la famigerata casetta a schiera od a gradoni.
Per farla breve: sotto Natale in genere circolano le classiche raccolte di fotografie aeree tipo “la Svizzera dall’alto” od “il bel Ticino” che in pratica sono tavole di lavoro e di testimonianza.
Partiamo da lì per capire e per proporre.
Per riassumere: basta con il larvato utilizzo del termine “speculazione” e con l’utilizzo di terminologie devastanti ed offensive.
D’accordo si poteva senz’altro far meglio ma in tutti i casi si è fatto quanto possibile purtroppo in un clima di reciproca sfiducia.
Anzi il contenimento degli indici di sfruttamento fu un’eredità sessantottina che scontiamo ancora oggi se pensiamo che inchiodarono il territorio con pochi moti ondosi successivi. Abbiamo nuclei originali, filiere di casette e chiazze di edilizia semi intensiva.
Per farci capire: casette che si confrontano oggi con palazzi a cinque piani…
Bene! Lasciamo perdere la speculazione, il presunto sfascio, la “densificazione” da sogno (il centripeto funziona già alla grande), i colpevoli, il monopolio del funzionariato, la latitanza del politico e delle associazioni, le sottolineature di supporto tipo “ghiacciaio in fiamme” e le sperticate lodi alla mobilità dolce (scarpa e pedivella) e proviamo assieme ad esaminare cosa potremmo correggere assicurando se possibile la pagnotta a tutti.
L’alibi del cemento non esiste più!
Il Ticino è ora definitivamente bloccato.
E magari lo sarà anche dal profilo prettamente economico e se fosse il caso non sarà più solo un problema di pennarelli ma piuttosto come assicurare la formidabile rete sociale e la copertura dei costi dell’azienda pubblica.
La cornice l’abbiamo; si tratta ora di muoversi intelligentemente, in modo concertato, con misura e buon senso, concentrandoci il più possibile sulle zone urbane del piano e se dovessimo ingripparci ci penserà poi Berna - e non taluni gongolanti idigeni - che applicando la legge ha già congelato tutto in attesa di visionare la qualità dei nostri compiti in classe.

I rilevamenti satellitari hanno dimostrato che il Ticino andava stirato un pelino con conseguente aumento della superficie. Si parla di 300'000 mq in gran parte situati nel Mendrisiotto. In pratica 3'000 proprietari si vedranno lievitare la loro proprietà di un mq. Per qualcuno si ragionerà in centimetri e per altri in mq. Saranno comunque in ogni caso correzioni marginali, che vanno perciò relativizzate. Intanto potrebbero venire coinvolti terreni non edificabili, boschivi, agricoli e quindi non necessariamente edificabili.
Poca roba in effetti, tant’è vero che si sono dovuti scomodare i nuovi termini di misura come i campi di calcio, altrimenti la notiziola non passava. Nel caso le superfici fossero state nettamente superiori si sarebbero invece utilizzati altri termini di misura altrettanto in voga come i i laghi. Un classico è quello di Thun! Qui però non si poteva che utilizzare che il termine “campi di calcio”. Il messaggio che però si voleva ancora far passare era che i proprietari avevano ricevuto un regalo. La realtà è ben diversa; i calcoli erano semplicemente sbagliati.
Cosa comporterà questa correzione dal profilo amministrativo non è ancora dato di sapere. Vedremo al momento opportuno. Dopo aver relativizzato il tutto vorremmo far presente la serietà dei nostri registri, nel nostro caso il registro fondiario, che certifica la proprietà.
Non solo! È uno dei pilastri dello Stato di Diritto e non per nulla che sia la Costituzione Federale che quella Cantonale considerano la proprietà come un diritto secco senza tanti fronzoli.
Quindi il fatto che esistano rilevamenti seri e descrizioni confortate da pezze giustificative, lascia tutti tranquilli sui titoli di proprietà e sulle sue caratteristiche.
Anche lo Stato visto che è sostanza al sole!

La procedura di consultazione sulla nuova tassa di collegamento (brevemente la tassa sui posteggi) è terminata. Il governo con la sua proposta in risposta alla decisione presa dal Parlamento (modifica dell’articolo 35 della legge sui trasporti pubblici) non ha trovato di meglio che inasprire la tassa che andrebbe ad aggiungersi alle innumerevoli accise che già colpiscono il cavallo d’acciaio!
Il Parlamento ha quindi accettato con l’approvazione del nuovo articolo 35 LPT il principio che si tassino i posteggi per finanziare il trasporto pubblico.
Una tassa considerata dissuasiva (sic!) e che rimpolpa nel contempo le casse pubbliche.
Prima i grandi generatori di traffico erano chiamati a contribuire ai costi di gestione della tratta che li concerneva ora invece si propone che ogni volume privato e pubblico considerato importante indipendentemente che contenga del lavoro o sia destinato al commercio venga chiamato alla cassa.
Per fortuna che l’hanno ancora chiamata “tassa di collegamento”.
Altro che causalità! È un nuovo balzello!
A questo punto va ancora ricordato che per grandi generatori di traffico si è sempre inteso i super- e gli ipermercati (centri commerciali) e le importanti strutture per lo svago ed il riposo (poniamo ad esempio lo Zoo di Zurigo), quindi dei volumi che abbisognano di una vasta dotazione in posteggi per i consumatori e per i visitatori.
Sulla base di questa considerazione e nel rispetto della decisione del Parlamento che ha accettato il principio di una tassa che coinvolga importanti generatori di traffico a parziale copertura dei costi del trasporto pubblico (dove e quale?), la CATEF presenta un piano B che prevede che si consideri la dimensione dei volumi e la dottrina vigente a livello svizzero e che non accetta la tassazione differenziata fra il consumatore ed il lavoratore.
La proposta è articolata al punto che lo stralcio di qualsiasi elemento cardine o collaterale andrebbe interpretata come non accettazione tout-court.
Come di consueto riportiamo qui di seguito per intero la risposta della vostra associazione alla procedura di consultazione.


Il Presidente Cantonale
Lic. rer. pol. Gianluigi Piazzini