Da Economia Fondiaria no. 5/2018

Più volte ci siamo soffermati sull’importanza della divisione immobiliare delle ferrovie federali svizzere che in qualità di “sviluppatore” ha valorizzato diverse sue aree considerate non più strategiche, riuscendo in meno di 10 anni con investimenti mirati a raddoppiare gli incassi. Non tanto alle nostre latitudini perché, a parte le officine federali di Bellinzona e l’area di Chiasso, non hanno riserve adatte per imbastire programmi ad ampio respiro. Diversa invece è la situazione oltre Gottardo dove le stazioni e le loro aree di smistamento si trovano generalmente nel cuore cittadino delle grandi città.
Per rendersi conto della dimensione della divisione basti ricordare che è la seconda immobiliare del nostro paese; una bestiolina da mezzo miliardo tanto per intenderci.
Ora queste riserve di terreno nelle città e nella loro immediata periferia stanno diventando preda ambita da parte di coloro che vorrebbero destinarle in parte all’edilizia popolare, giungendo persino a proporre che i Comuni abbiamo ad acquistarle per un tozzo di pane oppure che le FFS le cedano in diritto di superfice a condizioni politiche.
Nel caso contrario tiro a segno da parte dei soliti ignoti a suon di ricorsi e petizioni con l’ovvio risultato che a fumo diradato tutto resterà come prima salvo l’allungo delle tempistiche.
“Andiamocene che ci hanno rotto le scatole oppure con il classico ci vedremo a babbo morto”.

Il Governo o meglio il Dipartimento del Territorio sta propinando una overdose di procedure di consultazione che concernono l’economia fondiaria. Schede di Piano Direttore a manetta, modifiche di leggi come quella dell’edilizia e dello sviluppo territoriale ed altro ancora. Non sappiamo se sono concatenati con quanto chiede Berna oppure semplicemente se si tratta di una strategia per attivare i neuroni intorpiditi degli addetti ai lavori al rientro delle vacanze. Quest’ultimo motivo, se riferito al politico, non ha comunque molta sostanza perché il Parlamento si è già messo fuorigioco da solo.
Centra infatti una mazza nel rapporto sugli indirizzi, sul Piano Direttore (salvo gli obiettivi), sul Piano Finanziario e sulle linee direttrici quadriennali, sui vari piani settoriali agglomerati compresi come pure nella maggior parte delle leggi, che dopo averle partorite ne affida l’applicazione (l’implementazione, oggi termine più in voga) ai burocratici.
Insomma ai tecnici la vera élite del paese.
Noi ci divertiamo sempre meno a partecipare a queste consultazioni, anche perché abbiamo l’impressione che le nostre considerazioni, e non solo le nostre, non vengono molto considerate, ma partecipando possiamo almeno verificare se i nostri argomenti a nuvole diradate erano pertinenti o meno rimanendo nel contempo in palla.
In tutti i casi noi abbiamo sempre cercato di far leva sulla perdita di autonomia dei Comuni, sul travaso di competenza ai funzionari e sul rischio “ingolfamento” delle istituzioni.
E per il momento l’abbiamo vista giusta.
A proposito sarebbe anche ora che i sindaci si attivassero a difesa della loro competenza e dei propri uffici tecnici. Potremmo anche dire i Comuni stessi!
Fra l’altro i Comuni a livello svizzero stanno tramando per far inserire nella Costituzione Federale la loro facoltà di referendum.
Noi, nella nostra costituzione cantonale, l’abbiamo già! Quindi la leva ci sarebbe.

Da tempo la zona non edificabile è stata definitivamente consegnata ai contadini, agli allevatori, agli ambientalisti, ai ciclisti, ai forestali ed ai ricercatori e sottratta così alla bieca speculazione a favore della produzione ed allo svago e riposo condizionato. A dir la verità lo era già prima, canapa permettendo!
In queste zone si confrontano ovviamente diversi interessi.
Tanto per fare un esempio recentemente i contadini si sono dichiarati scettici nei confronti dello svincolo della strada nazionale che forse ci porterà a Locarno fra una quindicina d’anni, perché toglierebbe loro superfici agricole pregiate suggerendo, nel contempo di utilizzare gli inerti dello scavo della mega-galleria per recuperare zone produttive umidicce nel Piano di Magadino.
Immaginiamo che i naturalisti abbiano già il pelo alzato! La testuggine indigena e la raganella non si toccano! Ed allora al programma di realizzo della mega strada aggiungiamo un paio d’anni come riserva.
Per quanto riguarda le officine: idem come patate.
Non toccate le colture d’avvicendamento ed intanto oltre Gottardo aumenta l’appetito.

Lo sfitto continua ad aumentare. Lo conferma il rilevamento statistico che segnala 5000 unità disponibili. Noi siamo da tempo preoccupati perché il disponibile continua a lievitare mettendo sotto pressione il consolidato.
Lievita soprattutto per la produzione ancora a regime, a fronte di una immigrazione di qualità che diminuisce a vista d’occhio. La domanda appiattita non assorbe ed il vuoto aumenta.
Al tutto si aggiunge una percezione insufficiente da parte dell’opinione pubblica e da parte degli istituti bancari.
Ma è poi vero che vi sia tutto questo sfitto come qualcuno afferma? Certo che è vero!
In realtà, se considerassimo la sola quota percentuale dello sfitto, la stessa sarebbe nettamente superiore a quella indicata ufficialmente.
Considerando infatti le unità occupate dai proprietari notoriamente non messe in affitto quanto viene offerto in modo ricorrente e professionale sul mercato (palazzi a reddito) è semplicemente la metà del disponibile che serve da sottofondo per il calcolo. Ergo il coefficiente dello sfitto è come minimo il doppio. Più significativo però è il numero delle unità sfitte.
Sono ufficialmente attorno alle 5000 unità e per il prossimo anno si prevede un ulteriore aumento.
Questa disponibilità “ufficiale” è fra l’altro spalmata su tutto il territorio cantonale, segno evidente che vi sono unità in affitto alla portata di ogni budget familiare. Certo non tutte con vista lago o con il posto lavoro fuori dalla porta.
E per la nuova produzione? Sembrerebbe un attimino in rientro, specie quella condominiale, segno evidente che qualcuno si sta interrogando se val la pena rischiare il “vuoto” oppure puntare ad una redditività da pelo d’acqua, non consona al rischio assunto ed esposta al minimo aumento del costo del denaro.
Certo che fa un po’ ridere che proprio la Banca Nazionale che continua a dichiararsi preoccupata per il surriscaldamento del mercato immobiliare lo stia alimentando con la sua politica dei tassi bassi e con i tassi negativi che colpiscono quanto posteggiato dagli istituzionali sui suoi conti.
Così facendo incita paradossalmente quest’ultimi ad affidarsi al mattone, con le conseguenze del caso.

Sempre rimanendo nel tema preoccupa anche lo sfitto negli spazi commerciali e negli uffici. È uno sfitto in parte strutturale quindi non facile da assorbire. Il modo di produrre servizi e le abitudini/esigenze del consumatore stanno infatti cambiando a vista d’occhio. Le superfici pro capite negli uffici continuano a diminuire (in 15 anni si è passati da 18 mq a 13 mq per impiegato) e si fa sempre più strada il lavoro all’esterno della ditta (in parte a domicilio) come pure l’affermarsi degli uffici condivisi.
Per esemplificare: affitto di uno spazio lavoro con servizi d’appoggio. Una sorta di albergo-scrivania.
Per gli spazi commerciali la situazione è analoga, anzi ben più pesante. Lo sfitto dilaga, dalle vie blasonate alle viuzze di paese. Alla contrazione della domanda, sollecitata in parte dal digitale e dalla consapevolezza dei clienti dei ricarichi applicati sempre più evidenti dal clima da saldo perenne, non vi è una risposta immediata. Ma in attesa di conoscere le nuove esigenze della domanda è opportuno non perder tempo e preparare un piano d’azione per mantenere vivaci almeno quelle zone dei centri cittadini dove si affaccia il commercio. Sappiamo che in diverse città svizzere dei gruppi di lavoro sono già al lavoro.
Si tratta ora di focalizzare le ricette d’intervento (un catalogo standard), lanciare la discussione per poi preparare il consenso sul fattibile.
Alla luce delle dinamiche strutturali è chiaro che gli spazi per i servizi e per il commercio stanno già registrando preoccupanti correzioni di valori al punto che qualcuno si sta già mordendo le dita per quanto acquistato recentemente.
Correzioni che potrebbero peraltro accelerare in presenza di un repentino aumento del costo del denaro.

Sappiamo tutti che siamo un Cantone abbastanza indebitato visto che siamo gravati da un’ipoteca virtuale di quasi due miliardi! La garanzia? Economia sana e gestione attenta.
Un palazzo-paese con una buona amministrazione quindi e non siamo noi a dirlo.
Ma è l’agenzia internazionale di rating Moddy’s che conferma il suo giudizio positivo anche per il 2018 considerandoci ancora una volta a livello Aa2, affibbiandoci l’attestato virtuale “solventi ed affidabili”.
Ma è solo una coccarda da appendere al muro?
Non tanto! La classificazione positiva ci permette di attingere al mercato rifinanziando le “tranches” del debito che vengono a scadenza con interessi concorrenziali.
Infatti il costo medio del debito pubblico è intorno all’1,5%, sempre che la nostra memoria regga!
Se avessimo invece un rating CCC saremmo in braghe di tela come diverse nazioni, con debiti sproporzionati ed economie collassate costrette a pagare interessi esorbitanti ed assicurare rientri sostanziosi.
Le motivazioni del nostro buon rating? Vincolo costituzionale del freno all’indebitamento, alto grado di flessibilità budgetaria e finanziaria, gestione efficiente della tesoreria e del portafoglio debitorio dello Stato ed economia nel suo complesso forte e diversificata.
Mica male.
A proposito la vicina penisola è da BBB- e quindi lo spread (costo aggiuntivo) galoppa!

In pratica vi sono due tipi di cooperative. Quelle spontanee di tipo solidale e quelle create per coprire esigenze dei ceti meno abbienti.
La prima categoria fa perno su un prodotto sobrio dove i cooperativisti (in genere promotori ed utilizzatori dell’iniziativa) si prefiggono di coprire i costi (interessi ipotecari, ammortamenti, costi di manutenzione, di amministrazione ed eventuale fondo di rinnovamento).
Una sorta di condominio sociale gestito con rigore.
La seconda categoria, meno spontanea, si aggancia al principio di interesse pubblico preponderante per attingere ad importanti “aiutini” da parte delle autorità. Gli “sponsors” siamo in effetti tutti noi.
I più classici: terreni a condizioni di favore e finanziamenti collaterali.
Queste creature sottostanno ovviamente a precise condizioni per quanto riguarda l’utenza ed i costi.
Per l’utenza si tiene conto della situazione finanziaria del singolo o del nucleo familiare e della loro occupazione degli spazi.
Quando si parla di cooperative si sottolinea volentieri che i loro “affitti” sono circa del 20% inferiori a quelli di mercato. Affermazione che va però in parte relativizzata.
Per quanto riguarda la prima categoria è chiaro che ci vorrà del tempo dato che alla partenza i costi di produzione sono uguali a quelli del promotore classico che punta al mercato aperto.
Però con il tempo sottraendo il prodotto al mercato il canone-costo praticato risulterà inferiore a quello di mercato.
Inoltre molti dimenticano che i mezzi propri investiti dai cooperativisti non vengono generalmente remunerati altro fattore che inchioda i costi di gestione e di riflesso il canone virtuale.
E qui lo diciamo e poi lo smentiamo, in genere non tengono conto dell’obsolescenza quindi accantonano ben poco.
Per la seconda categoria il discorso è diverso perché destinato come detto ad un’utenza mirata, sostanzialmente più debole.
E come si impasta l’affitto calmierato? Intanto si blocca un terreno (di proprietà collettiva) a condizioni stracciate e magari con qualche abbuono edificatorio e ci si fa garantire a costo zero i finanziamenti.
Quindi alla partenza la cooperativa indotta con utenza disciplinata parte molto avvantaggiata e logicamente fila da subito al disotto degli affitti di mercato.
Per questa categoria di cooperative il gap più volte (-20%) evocato sta perciò più in piedi.
Con questo contributo assicuriamo i nostri lettori che abbiamo messo in sonno il tema in attesa dell’invito all’inaugurazione della prima cooperativa di un certo peso nel nostro amato Cantone!

Qualcuno incomincia finalmente a sostenere che i nuclei e quanto costruito negli anni quaranta, prima che la periferia esplodesse, vanno assolutamente rigenerati e riqualificati. Brevemente rimessi in “moto”. Le premesse ci sono anche perché la divisione residenza qua – lavoro là ha perso in parte la sua importanza e la qualità di vita in questi comparti è ancora intatta. Vi è un altro motivo! Se i nuclei tradizionali si avvitassero trascinerebbero con sé la città urbana con tutte le conseguenze del caso.
Quindi quando parliamo di nuclei è giusto tener presente che la loro rivitalizzazione è altrettanto importante se non maggiore di quella della periferia di corona dove si può sostituire e riproporre facendo perno in genere sulla sola destinazione residenziale.
Nei nuclei la storia si fa invece più complicata dovendo ricucire diverse destinazioni in spazi ingessati e con mobilità limitata.
Ora noi non vorremmo agganciarci ai fautori dei piani, visto che alla luce di quanto abbiamo già prodotto in Ticino, il “baffone giorgiano” si sarebbe messo a piangere dall’invidia.
Però se scontiamo tutti gli aspetti come: rigenerare, risanare, calibrare le esigenze dell’utenza e quant’altro e li mettiamo davanti alla mummificazione parziale dovuta alle regole che disciplinano i nuclei cittadini, ai vari elenchi di immobili protetti e dalla gigantografia imposta dall’ISOS ci si accorge che è impossibile pensare alla grande e che quindi sarebbe da chiedersi se non fosse opportuno avere un piano urbanistico operativo con tanto di architetto cittadino.
Una provocazione? Può darsi ma almeno parliamone.
Detta in parole povere: occupiamoci del zoccolo duro delle nostre città dove il problema non è più tanto il costruire ma il riqualificare.

Il nostro ministro delle finanze propone una riduzione lineare delle imposte.
Un 5% che bene o male farebbe piacere sia al ceto medio che a quello abbiente.
Quello meno abbiente non paga e quindi guarda dalla finestra.
Uno scalino modesto per collocarci fra un paio d’anni, per intenderci dopo la riforma federale richiesta da chi ci attornia, in posizione leggermente migliore per almeno tranquillizzare imprenditori, risparmiatori ed investitori.
Ce lo siamo già detto. La competizione è aperta e non la vinceremo con boccalini e sorrisi. È polpa che fa gola a chi ci attornia soprattutto ai cugini d’oltralpe. Il capitale è mobile e lo dobbiamo francobollare.
È Realpolitik bellezza!
Dovesse rilevarsi un discorso sofferto ed esposto a mille ricatti non ci resterà che applicare la riduzione lineare sui costi che da sempre lievitano!
Un atto politico non molto elegante perché poco rispettoso delle varie efficienze della macchina pubblica.
A meno che ce ne impippiamo facendo il segno dell’ombrello!
Chi se ne frega, fuori i santini che qualche santo guarderà dall’alto.
Ma è una bella rischiata che esporrebbe i più deboli consegnando il paese a qualche bucaniere.

Da più parti si sostiene che il valore locativo abbia i giorni contati. Stiamo parlando di quell’affitto virtuale che parifica il proprietario all’inquilino. Più corretta però l’altra motivazione! Il proprietario investe in una unità abitativa che utilizza provvedendo alla sua manutenzione ed il reddito dell’investimento è l’affitto risparmiato. È il suo rendimento in natura. Essendo perciò un investimento è giusto che possa detrarre gli oneri finanziari e le spese di manutenzione.
Inutile quindi il continuo mal di pancia. Il valore locativo esiste dal 1934 e diversi tentativi per eliminarlo sono finora andati a buca. Vuoi perché si voleva abolirlo mantenendo la possibilità di detrarre gli interessi ipotecari e le spese di manutenzione oppure limitare la facoltà di chiedere di abolirlo solo per ai pensionati e via dicendo. Ma perché si restò al palo? L’azione congiunta dei progressisti, lo sbarramento del fisco e da ultimo il gioco sporco delle banche.
Ora però sembrerebbe che l’abolizione del valore locativo abbia maggiori chances!
Certo ci sarà ancora il solito attacco ideologico, i sussulti dell’erario, la fregola delle banche e da ultimo la resistenza degli artigiani che temono che con l’abolizione della facoltà di detrarre (per intero o parzialmente) le spese di manutenzione non si cambi più neanche lo zerbino.
Fra l’altro le banche sostengono che con l’abolizione i prezzi delle unità immobiliari aumenteranno del 10%.
È una bufala.
E per l’ennesima volta si andrà perciò in battaglia.

 

Il Presidente Cantonale
Lic. rer. pol. Gianluigi Piazzini