Da Economia Fondiaria no. 1/2023

Non sempre ci rendiamo conto che la Democrazia e lo Stato di Diritto rappresentano i piedistalli della convivenza civile e non di rado ci mettiamo di traverso offuscati dal presentismo e dallo strapazzo di giornata. Insomma siamo talmente abituati alle notizie più strampalate e poco approfondite da rifiutare di adottare orizzonti a largo respiro e di censurare le considerazioni a disco rotto che caratterizzano i vari schieramenti e coloro che li rappresentano. Un clima fra l’altro intorpidito dal politicamente corretto che ha abbondato al suo destino la maggioranza silenziosa.
Un clima che rende ancora più difficile la convivenza fra il politico, la società civile ed il tecnico, sia quello al servizio dell’iniziativa privata che quello al servizio dell’ente pubblico.
Da tempo emerge una certa sfiducia nei confronti della politica accusata di occuparsi più dei suoi interessi che di quelli del paese. Non è una impressione nuova ma oggi sembrerebbe più consistente. Un po’ come l’economia, parola torbida e poco approfondita, al punto che il calcolo dell’interesse composto non è patrimonio comune.
Ma per non uscire troppo dal seminato occupiamoci solo dell’attività politica alla quale affidiamo buona parte del destino del paese.
Come detto prima le resistenze poggiano anche sulla convinzione che il politico si sia intorpidito ed incartato da solo e che abbia demandato troppo la conduzione del paese all’esecutivo, cioè al Governo. In buona parte è vero ed è anche la logica conseguenza dell’emanazione delle leggi che in genere si limitano a definire lo scopo per poi affidare l’applicazione all’esecutivo o più precisamente a funzionari che redigono le norme applicative con ordinanze e regolamenti a cascata.
Così facendo il controllo dell’efficienza, dell’efficacia e dell’attualità sfuma nel tempo soprattutto del campo applicativo che già tende ad alimentarsi da solo con aggiornamenti imposti dalle norme superiori o dal complesso del primo della classe.
In poche parole chi fa le leggi consegna a chi le applica un potere notevole anche perché a suo favore gioca l’arco temporale. Il politico infatti prima o poi butterà il sacco, non da ultimo perché la milizia magari appassiona ma in genere non ripaga, mentre per il funzionario non è il caso.
Qualche decennio si discusse sul controllo dell’efficacia dell’amministrazione e sul dotarsi di orizzonti più lunghi, al di là possibilmente del decennale. La prima possibilità è stata imboccata ma senza la necessaria convinzione, vedi “Amministrazione 2000”. La seconda con l’adozione della legge sulla pianificazione cantonale che invece di irrobustire il parlamento ha affidato gestione, armi e bagagli all’esecutivo. Il legislativo si è quindi svilito da solo cedendo competenze e campi d’applicazione della grande politica all’esecutivo o meglio ai Dipartimenti ed ai funzionari abilitati. Ma non solo ha abbandonato il campo con la semplice veste dell’osservatore ma ha anche indirettamente chiuso la porta all’opinione pubblica.
Per farla breve ha consegnato alla burocrazia anche le visioni ad ampio respiro, vedi rapporto sugli indirizzi ed il piano direttore, come pure le impegnative di legislatura come le linee direttive ed il piano finanziario.
Potrà sempre discutere il tutto e formulare osservazioni ma il Gran Consiglio non approva. Al massimo ringhia e sbuffa.
Si è quindi incartato da solo. Ma non è tutto! Sebbene l’informazione venga garantita dalla consultazione troppo volte i rappresentati delle associazioni e delle formazioni politiche si sono dimostrati svogliati o ligi al “dipartimentalismo”.
Da aggiungere ancora il ruolo dei diversi gruppi di lavoro presidiati di regola dai funzionari stessi. Si gioca sempre in casa!
Il motto: vi abbiamo informati e coinvolti, di più non si poteva fare. In tutti i casi grazie per l’attenzione.
Ma è proprio così disdicevole questa prassi? Potrebbe sì venir migliorata ma bisogna riconoscere che i problemi sono complessi come pure le interdipendenze. La politica è settoriale e presuppone anche le conoscenze tecniche che comunque vanno condivise.
Ora tornando alla visione a lungo termine uno dei pilastri della pianificazione politica e meglio il Piano Direttore è appena stato approvato dal Consiglio Federale. A parte il fatto che siamo gli ultimi e fuori tempo massimo si tratta di una approvazione condizionata e non da poco. Roba da controfirma da parte del genitore nel ricordo dei tempi passati!
Noi come CATEF c’eravamo a suo tempo opposti alla nuova legge federale sulla pianificazione urbanistica perché temevamo che i Comuni perdessero la loro autonomia, che il processo sarebbe stato farraginoso, che il metro di giudizio era in mano alla burocrazia bernese e che si rischiava un pericoloso testacoda in mezzo alle scartoffie.
L’esito della votazione fu netto. L’altopiano sorresse a tutto spiano la legge malgrado la titubanza dei cantoni alpini. Ma restavano i timori che ora si stanno in parte concretizzando almeno alla nostra latitudine.
La burocrazia è infatti in affanno e sta coinvolgendo su una mappa colorata Comuni ed associazioni cercando di disincagliare l’intero processo. Leggete le istruzioni noi vi daremo una mano!
Giusto anche ricordare che parecchi sindaci si dichiararono a suo tempo entusiasti di questa nuova legge ma probabilmente oggi lo sarebbero un po’meno.
Questo nostro contributo, modesto e sfilacciato, è teso a riaccendere un certo interesse alla politica e risvegliare quella voglia d’alzare gli occhi al di là del presente.
Si potrebbe partire dal messaggio del Governo 2460 dell’11 luglio 1980 concernente la legge sulla pianificazione cantonale per poi planare sulla recente approvazione condizionata del Piano Direttore cantonale da parte del Consiglio Federale.

Il Presidente Cantonale
Lic. rer. pol. Gianluigi Piazzini