Da Economia Fondiaria no. 4/2023


Con quasi il 60% dei voti l’elettorato svizzero ha votato a favore della legge sulla protezione del clima che ha come obiettivo di azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050. Parallelamente si è anche votato un primo pacchetto di misure teso ad agevolare l’abbandono degli impianti di riscaldamento a combustibili fossili.
Va ricordato che questo percorso andrà agevolato con incentivi statali, contrariamente alla proposta precedente che aveva parecchie analogie ma che prevedeva forzature e tasse.
Proposta che fu, come ricorderete, bocciata un paio d’anni fa dal popolo sovrano.
Quindi lo Stato non potrà obbligare e si dovrà limitare ad incentivare.

Gli avversari alla legge hanno più volte sottolineato che non saremmo mai stati in grado di centrare l’obbiettivo della neutralità e che avremmo dovuto preoccuparci maggiormente della copertura del nostro fabbisogno energetico senza aprire lo sportello alle rivendicazioni a raffica dei soliti professionisti dell’apocalisse.
Dobbiamo in parte riconoscere che diverse criticità emerse potevano anche essere condivise ma non nel loro insieme.
Ormai il discorso della “sostenibilità” impregna ogni visione futura.
La sostenibilità ha invaso l’intero sistema ed è trainata dall’economia verde, quella che dovrebbe garantire la transizione verso la neutralità climatica.
Un “attestato” fra l’altro già oggi presente quasi ovunque a supporto dei servizi e dei prodotti.
Ormai il “LABEL” della sostenibilità ha polverizzato quello del BIO semplicemente risucchiandolo.
Per farla breve: la digitalizzazione, la scienza della vita e la neutralizzazione climatica saranno i piedistalli dello sviluppo sostenibile.

Per quanto riguarda le eventuali forzature collaterali, come per esempio rendere obbligatorio qualche suggerimento veicolato dalla nuova legge, chi dovesse proporle e forzarle andrebbe sicuramente a muro.
Del resto la continua denuncia della fine del mondo non premia più, anzi sta generando l’effetto contrario, quello pericoloso “del chi se ne frega e godiamocela”.
E non per nulla che le formazioni “dei verdi” incominciano a perdere colpi e sono costrette a sposare e condividere rivendicazioni sociali patrimonio della sinistra entrando così in rotta di collisione.
Del resto continuando a dare dell’ignorante all’opinione pubblica e nel contempo sfidare l’economia verde misconoscendone la sua potenzialità e la sua forza comunicativa è un puro azzardo politico.

Agli avversari va dato comunque il gran merito di essere riusciti a riportare il baricentro sulla garanzia dell’approvvigionamento.
D’accordo investire il più possibile nelle energie rinnovabili e sul risparmio energetico, ma il rischio di trovarci un domani senza sufficiente energia va tenuto sempre all’ordine del giorno.
Fra l’altro appare sempre più evidente che senza il nucleare sarà difficile girare l’angolo.
Dovremo come minimo ritardare lo spegnimento delle centrali ancora attive e tener presente l’alternativa rappresentata da centrali di dimensioni più modeste ma aggiornate dal profilo tecnico.

Per quanto riguarda l’aggiornamento dell’edificato in funzione del contenimento del dispendio energetico siamo in attesa di conoscere le proposte dell’ente pubblico e l’implementazione delle stesse.
Come sapete la CATEF propugna una applicazione in funzione della vetustà dello stabile ritenendo soluzioni ottimali difficilmente ripercuotibili sulle pigioni con speciale riferimento al datato.
Ragionamento del resto condiviso in parte dalle autorità federali.
A proposito del datato, registriamo un primo rientro in fatto di competitività.
Infatti gli aumenti applicati alla recente produzione stanno facendo affiorare le pigioni moderate che il comparto dell’esistente datato è in grado di offrire.
Se poi il costo del denaro e l’inflazione dovessero ancora aumentare è probabile che ad inizio anno scatterà una seconda ondata di aumenti per cui il differenziale dovrebbe ancora aumentare.
Poi anche l’esistente datato, ormai sempre competitivo per una fascia più allargata, applicherà gli aumenti possibili secondo legge.
Ma non sarà sicuramente a tappeto come nella nuova produzione perché nel datato l’utenza è così consolidata da essere protetta da contratti siglati magari a tassi ben superiori.

Per quanto ci riguarda nessuno può tacciarci di barare in fatto di trasparenza.
Le regole del gioco le abbiamo sempre esposte correttamente in occasione di ogni cambiamento del tasso ipotecario di riferimento, come nell’ultima edizione di EF.
L’associazione degli inquilini come consuetudine insinua il solito dubbio della potenziale sbadataggine o imprecisione del proprietario, dimenticando che la dinamica del modello per le modifiche della pigione è semplice e viene applicata in tutto il territorio nazionale.
Si pensi solo alla Svizzera Interna, dove la quota degli istituzionali nella produzione recente è importante, questa riserva da “sbadati” voluti si indirizza proprio nei confronti di coloro che sorreggono il previdenziale e garantiscono il risparmio collettivo.
Pensiamo a tutte le casse pensioni, comprese quelle dei sindacati, ai fondi immobiliari ed alle assicurazioni che garantiscono ed alimentano piani di investimento collettivi.
Per farla breve tutti quelli che si occupano di investimenti a norma di legge.
Mirati, prudenti e sostenibili.
Soggetti economici controllati del resto due volte.
Per la copertura degli impegni e per la bontà degli investimenti.

Si costruisce troppo poco! A questa conclusione è giunto un gruppo di lavoro che ha esaminato le varie dinamiche regionali. Gli esperi sono giunti alla conclusione che in 2-3 anni a livello nazionale mancheranno 50'000 nuovi appartamenti. Ma dove? Dove esiste ovviamente la domanda maggiore come nelle città dell’altopiano e meno nelle regioni periferiche. Tanto per non farci mancare nulla con il Giura siamo l’unico Cantone che avrà un esubero anche fra 2-3 anni.
A dire la verità questa proiezione l’abbiamo già sottolineata ma ritornare sull’argomento non è poi fuori luogo.
Intanto è giusto chiederci come mai la produzione rallenti malgrado la corposa domanda delle grandi città dell’altopiano.
La risposta è abbastanza articolata e poggia su diverse componenti.
La prima è il costo del denaro che influenza la voglia di investire: sia per l’operatore che si è visto prosciugare in parte la domanda per l’uso proprio, come anche per l’istituzionale che dopo aver aumentato una fetta ragguardevole del patrimonio nell’investimento immobiliare è tornato a privilegiare l’investimento in valori quotati, per farla breve nella finanza. Qualche estratto da mettere nel classificatore e meno problemi nella gestione diretta dell’immobiliare a reddito.
All’inizio ha giocato un ruolo importante anche lo sfitto, altra componente importante anche se poi rientrata in pochi anni.
Per quanto riguarda la produzione vera e propria non vanno dimenticate le lungaggini degli iter di approvazione, in media intorno ai tre mesi con punte a Zurigo e Ginevra che sfiorano l’anno e la presenza di ricorsi di privati e di associazioni, quest’ultime uniche depositarie del bello e del brutto!
Da ultimo non va dimenticato che non tutte le domande approvate vengono concretizzate. Infatti si calcola che quasi due appartamenti su 10 non vengono realizzati.
Per finanziamenti insufficienti, per qualche approvazione tesa piuttosto a consolidare l’edificabilità oppure perché ci si è resi conto di aver sbagliato impostazione in funzione delle dinamiche del mercato.

Lo studio porta sul banco degli imputati, udite udite, anche la pianificazione del territorio entrata in vigore nel 2014 che allora sottolineava la disponibilità sulla base di rilevamenti per ben 1,6 milioni di abitanti al punto da legittimare un generale congelamento se non la riduzione delle zone ancora libere a favore dell’edificare in centro e nelle riserve presenti nelle zone estensive, quelle delle casette tanto per esemplificare.
Il problema è che il legiferatore ha dimenticato di sostenere questa volontà del centripeto di qualità con misure fiancheggiatrici.
Infatti oggi muoversi in queste zone è come passare correndo su un campo minato ed esposto al fuoco incrociato.

Tutto ciò, sfitto, costi, lungaggini, lo spauracchio della pianificazione e il ritorno al reddito della carta, ha portato ad un rallentamento della voglia di investire ed al conseguente manco di produzione, senza inoltre dimenticare quanto viene anche demolito.
In poche parole a medio termine non si produce abbastanza.

E da noi? Nessun problema! Abbiamo ancora una solida quota di sfitto, una produzione ancora lanciata per quest’anno e qualche dubbio sulla nostra forza contrattuale, condizioni alla quale possiamo aggiungere una natalità insufficiente; circostanze che non contribuiscono ad alimentare la voglia di investire. Quindi la proiezione del gruppo di lavoro non è poi sballata. Da noi non ci sarà del manco.
Resta comunque la speranza che il mercato entro tre anni si riallinei quel tanto che basta per rilanciare la produzione.

Tanto per non passare inosservati l’ennesimo studio d’oltre Gottardo sottolinea la nostra debolezza in fatto di condizioni quadro per le aziende. Continua quindi la conferma del nostro navigare a fondo classifica evidenziato senza molte riserve dai giornali dell’altopiano che vanno per la maggiore.
Insomma siamo brava gente ma l’impressione è che non ci rendiamo ancora conto di aver esaurito quasi tutte le cartucce consegnate dalle generazioni che ci hanno proceduto.
Abbiamo raggiunto una buona socialità di massa ma lo stantuffo per mantenerla si muove troppo lentamente.
Altro che decrescita felice.
Ci stiamo avvicinando al punto morto del ricarico dove il prodotto ed il servizio rimangono inchiodati.
Senza margini sufficienti il mercato si avvolgerà sempre di più nel tentativo di fronteggiare l’aumento dei costi.
Poi si inceppa.
A proposito di tabelle e di classifiche lo strano è che i commenti, sempre che vengano poi fatti, evaporano all’istante.
Nessuno si mette a discuterle ed in un baleno si ripone il tutto nel cassetto delle “fregnazze”.
Del resto “il vero ed il falso” da tempo non è più di moda.
Facciamo un esempio. Qualche mese fa la Confederazione ha pubblicato la perequazione finanziaria e la compensazione degli oneri. Nella stessa, sulla base di diversi criteri, si determina chi sostiene e chi riceve.
Come quella che conosciamo a livello comunale.
Fra coloro che ricevono ora ci siamo anche noi per il semplice fatto che stiamo perdendo in velocità.
Siamo ora nella categoria dei poverelli.
E pensare che solo qualche anno fa eravamo in una situazione di partita di giro.
Da mezza classifica.
E come è stata accolta la notizia?
Meno male che becchiamo qualche milioncino!
Nessuno però è entrato a verificare il meccanismo che in pratica certifica il primo salto della catena.
A proposito, il tutto è pubblicato nella raccolta delle leggi federali Nr. 203 del primo dicembre 2022!
Tutto quanto per dire che la cartella clinica è quella che è e che una pausa di riflessione si imporrebbe.
Dobbiamo interrogarci su quale velocità di crociera possiamo permetterci e se sul gommone ci sarà posto per tutti.
Ovviamente comodi!
Ciò presuppone di attenersi alla realtà delle cose.
Siamo i soliti “gufisti”? Francamente ce l’augureremmo ma c’è qualche cosa che non quadra.
Ma di una cosa siamo certi: stiamo perdendo tempo prezioso anche perché il cambiamento in atto non ci aspetta ad ogni tornata.

Sarebbe sufficiente elaborare una sorta di cruscotto di bordo e istituzionalizzare un gruppo di lavoro composto da professionisti attivi nell’economia, come da anni sosteniamo, per verificare portata ed affidabilità del gommone.
Ma è meglio elaborare parametri, giustificarli e tornare in sonno.
I nostri giovani hanno invece bisogno di confrontarsi con la realtà delle cose, mettere e mettersi in discussione, condividere con riserva o meno!
Intanto prendiamo atto che uno studio esterno, e dagli, conferma che a livello parametrico siamo sballati in fatto di spesa pubblica a cranio in funzione delle varie funzioni.
E non di poco!
Ed ora ecco che si mette in moto il sistema politico. Vero o falso, perché, dobbiamo proprio rientrare, cosa facciamo e via dicendo.
È ragioneria pura ma che implica di ritrovare il senso della politica.
Stabilire priorità negli impegni, ricondurli alla forza contrattuale del paese, ricomporre le riserve di guerra con risultati dignitosi e porsi un target raggiungibile e condiviso.
A corto termine calibrare le rivendicazioni, il rincaro è al capolinea, ed importare ricchezza che fatichiamo a generare.

Da ultimo gustiamoci con giudizio questo straordinario paese.


Il Presidente Cantonale
Lic. rer. pol. Gianluigi Piazzini